- Il Giudizio su di me(1)
IL GIUDIZIO SU DI ME (1)
In un incontro conviviale con amici, ho conosciuto una massima a me ignota. Il senso della massima è pressappoco questo : “se mi giudico, sono niente; se mi confronto, sono molto”. Già Andreotti aveva esposto un analogo concetto ed era stato accolto come una delle solite battute argute e spiritose di Andreotti. Ed invece così non è. Essa probabilmente costituisce un atto di superbia e, come tale, dovrebbe essere disatteso da un vero cristiano, per il quale l’umiltà è una virtù. Ma a ben guardare vi è molta verità nella massima. Non sono un’aquila, non ho doti particolari, né una intelligenza vivace. Sono come l’ape che raccoglie fior da fiore in una ricerca travagliata e sofferta del meglio. Ho una grande volontà e la volontà sopperisce sovente alla mia non eccessiva vivacità nel cogliere gli aspetti e le prospettive dei problemi. Sento peraltro di avere un notevole fiuto politico e una grande sensibilità. Sono un poco autoritario e tagliente, senza mezzi termini, nella ricerca di emergere e di elevarmi rispetto agli altri. Mi sorregge una grande ambizione, quella che mi ha portato a ripresentarmi candidato e a ritornare al Senato. Con immensa soddisfazione.
Roma, 24 ottobre 1983
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- Il Giudizio su di me(2)
IL GIUDIZIO SU DI ME (2) (*)
COGNOME : Ruffino NOME : Giancarlo GRUPPO PARLAMENTARE : D.C. PROFESSIONE : avvocato (dato in prestito alla politica) AUTOMOBILE : Fiat Croma SPORT PRATICATI : ginnastica COSA COLLEZIONA : quadri QUALI ANIMALI HA : cane e gatto A CHE ORA SI ALZA AL MATTINO : sei e trenta - sette A CHE ORA SI CORICA ALLA SERA : ventidue e trenta - ventitré QUALI GIORNALI LEGGE : Il Giornale, Il Popolo, Il Sole 24 Ore, La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, L’Unità, L’Espresso, Famiglia Cristiana e Panorama LUOGO DI VILLEGGIATURA CHE PREDILIGE : Capri, Ischia e la Grecia GENERE DI LETTURA : saggistica e narrativa GENERE MUSICALE : musica classica e musica leggera LA FRASE CHE PIU’ AMA :“Potere ciò che si vuole, volere ciò che si deve” (S. Agostino) ; “Insisti, resisti, raggiungi e conquisti” LA COSA CHE PIU’ DETESTA : la maleducazione LA SUA MAGGIORE ASPIRAZIONE : essere utile agli altri IL SUO MIGLIOR PREGIO : la tolleranza e la pazienza LA QUALITA’ CHE PIU’ APPREZZA NEGLI ALTRI : l’intelligenza IL DIFETTO CHE PIU’ LO IRRITA NEGLI ALTRI : la presunzione
Roma, 22 dicembre 1993
(*) sono le risposte alle domande di un questionario proposto a Giancarlo Ruffino per una pubblicazione sulle abitudini e le preferenze dei Parlamentari italiani
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- Natale 1945
NATALE 1945
Carissimi Genitori e fratello, eccoci giunti alla feste natalizie! Feste natalizie però diverse da quelle trascorse in cinque anni di dura e sanguinosa lotta: il sole della pace e della prosperità è venuto pure a splendere su questa nostra Italia e per la prima volta dopo cinque anni festeggiamo il Natale felici. Felici sì, perché il nostro caro Attilio è ritornato, dopo diciotto mesi di lunga prigionia in Germania, alla sua cara casa; felici anche perché finalmente vi è pace su tutto il mondo. Il Natale è giunto! In una povera capanna sei nato, o mio Gesù! Hai voluto nascere nella povertà completa mentre potevi divenire il più grande di questa terra. Sei nato per redimere questa umanità che anziché ringraziarti ti bestemmia, sei venuto per redimere noi che siamo così cattivi. Però nella tua immensa bontà perdonerai a chi ti bestemmia, perché oltre chi ti bestemmia vi è anche chi ti loda, ti adora e ti ringrazia e tu, o Gesù Bambino, ci proteggerai e ci perdonerai. Gesù Bambino è nato! Gioia, o uomini, è nato il nostro Salvatore, il nostro Redentore. E Tu, Gesù Bambino, in questo Santo Natale di pace che noi grazie a Te trascorriamo uniti e felici, fa che presto anche tutte quelle famiglie che hanno ancora i loro cari lontano, fa che tutte quelle madri che soffrono per il figlio perduto o per il figlio ancora in qualche campo di concentramento, fa o Signore di dare a loro la speranza, anzi la certezza che i loro figli torneranno presto e dona a quelle madri che in cinque anni hanno sofferto più di ogni altro quella gioia del Santo Natale che deve albergare ovunque e consola quelle madri che hanno perso il loro figlio e dona a loro la rassegnazione. Concedi, o Gesù Bambino, sempre gioia e felicità nella mia famiglia, ricopri il capo dei miei genitori, fratello e parenti tutti, di mille benedizioni e grazie e fa che vivano ancora a lungo. Queste grazie ti chiedo, o Gesù Bambino, e sono certo che tu mi esaudirai. Carissimi Genitori e fratello, vi giungano in questo lieto e Santo giorno i miei più fervidi ed affettuosi auguri. Vostro aff.mo figlio e tuo fratello -Giancarlo- Mondovì, Natale di pace 1945
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- Il Mio avvenire:Propositi e Speranze
IL MIO AVVENIRE : PROPOSITI E SPERANZE
Diverse volte mi sono domandato: quale sarà il mio avvenire? Meditavo molto e poi trovavo una risposta che grandemente mi consolava: divenire un bravo ingegnere! Ecco l’avvenire che tanto bramerei! E la mia fantasia allora mi trasportava in una bellissima città dove in una non meno bella casa, in un ufficio illuminato dai caldi raggi del sole, un giovane di appena ventotto anni sedeva intento a disegnare e ad impartire ordini a destra e a sinistra. Quel giovane che con voce squillante e con tanta disinvoltura dava ordini ero io, semplicemente io. In quel momento ero intento a fare un progetto di una strada e di un grandioso ponte, che, secondo il mio punto di vista, doveva certamente portarmi alla gloria. Vicino a me una giovane signorina, con veloce movimento delle dita, dattilografava ad una ditta per la richiesta di speciale materiale e di operai, per il compimento di sì grandioso progetto. Ero immensamente felice; finalmente, pensavo, dopo tanti studi e tanta fatica potevo chiamarmi qualcuno e potevo così ricambiare i benefizi che prima mi avevano fatto i miei genitori. Sorridevo e mi pareva di essere in un altro mondo, senza dolori e senza sofferenze. E allora disprezzavo il pessimismo di quel grande che fu il Leopardi e mi pareva inverosimile che da una mente umana fossero usciti versi tanto tristi come quando rivolgendosi al “pastore errante dell’Asia” dice che, dopo essersi tanto affaticato, estenuato al fine giunge là dove il tanto camminare fu volto e cioè: ... abbisso orrido, immenso ov’ei precipitando il tutto oblia. Ma purtroppo la realtà è ben diversa! Un’automobile passando nella strada sottostante alla mia stanzetta mi toglie dal mio fantasticare e invece di trovarmi in un bellissimo appartamento mi trovo qui, nella mia stanzetta. Altro che bravo ingegnere! Sono un semplice alunno della I° liceo! Solo allora mi ricordo che ancora devo studiare la lezione di storia e sono già le otto e trenta. Mi conviene perciò lasciare a parte le fantasticherie e accingermi a studiare, se veramente desidero che tale sogno si avveri.
Mondovì, anno scolastico 1946 - 1947.
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- Sul Servizio Militare
SUL SERVIZIO MILITARE
VORREI FARE A PUGNI CON UN CARRO ARMATO! Sembra strano ma proprio ora la vita militare mi schifa. Ora che essa è meno dura e ora che sono sottoposto a trattamenti completamente diversi e migliori. Forse il primo periodo trascorso a Lecce passò sotto il segno della villeggiatura. Sentivo la necessità di riposarmi un poco dalle fatiche dello studio e la vita militare mi parve un utile diversivo sotto questo aspetto. Già a Lecce incominciai a sentire il peso della mia insostenibile situazione. Ma il pensiero delle vicine vacanze natalizie fu sufficiente a farmi superare tale stato d’animo. Ora, qui a Caserta, tale sentimento prende valida consistenza e concretezza e mi porta a vivere male e con un peso insopportabile nel cuore. L’inutilità del servizio militare mi si appalesa ora in tutta la sua interezza e quest’ozio senza riposo mi tormenta e mi rende inquieto e nervoso. Purtroppo molti, troppi mesi mi separano dal congedo. Le vicine elezioni amministrative mi inquietano ancora di più. Non mi so rassegnare al pensiero di rimanere inattivo durante questo periodo. Fuori si vive la vita intensa delle pre - elezioni, qui si ozia senza riposare.
Caserta, 20 febbraio 1956
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- Sul Viaggio di Nozze
SUL VIAGGIO DI NOZZE
La settimana scorsa ho vissuto giorni felici con Maria Pia e Fabio. Sono venuti a Roma, dopo molte mie insistenze. Assieme a loro, la Kate, Marcello e Tilde. Abbiamo passato assieme cinque giorni intensi. Oggi sento nella mia casa ancora il suo profumo e la sua presenza e la casa mi sembra tremendamente vuota. Ho rivissuto con Pia un secondo viaggio di nozze. Ma che dico mai? Io non ho avuto un viaggio di nozze normale. E’ bene lasciare spazio ai ricordi e tuffarmi lontano nel tempo con la memoria. Mi sono sposato il 7 settembre 1958: vent’anni fa! Con Pia decidemmo di andare verso il sud e, possibilmente, di arrivare fino in Sicilia. Poi, per strada, le ambizioni per voli eccessivi ci frenarono e arrivammo fino a Napoli per fare ritorno al paese dopo dodici giorni. La prima notte di matrimonio ci fermammo all’Hotel Cenobio dei Dogi. E’ un magnifico albergo che sorge a Camogli sugli scogli. Ha come orizzonte il mare da un lato e il verde di un immenso giardino dall’altro. Il locale ci era stato consigliato dal buon Cigliuti. Al Cenobio dei Dogi Cigliuti aveva festeggiato un settimana prima i trent’anni di laurea e, generoso com’è, voleva che altri godessero la pace e la bellezza di un posto incomparabile. Arrivammo a Camogli sul far della sera. Ricordo ancora la sorpresa e l’amarezza di Pia allorché sulla Via Aurelia, all’imbrunire, una bella figliola mi fece segno di fermarmi. “E se non c’ero io” mi chiese Pia a bruciapelo. “Se non c’eri tu, risposi imbarazzato, non mi sarei fermato”, anche se la tentazione, certo, sarebbe stata grande!
Roma, 6 luglio 1978
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- Zia Carmelina
ZIA CARMELINA
Ho ricevuto una lettera dai miei nella quale mi viene comunicato il decesso di mia zia Carmelina. Ne ho sofferto. Il pensiero non poteva non riandare a quelle serene sere di agosto quando in compagnia della zia e del suo cuore attivo e generoso e vivo girava per la campagna e le cascine di Sale. E fu proprio il suo cuore, generoso e attivo, a non reggere al grave attacco. E’ morta all’improvviso, senza sostare. Così come era sempre vissuta. Senza sostare mai. Addio, cara Carmelina. Stasera ti sento a me vicino ed il mio cuore ti piange. Verrò presto a portarti l’ultimo saluto, sulla triste tomba nel camposanto che domina le Langhe.
Caserta, 2 febbraio 1956
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- Cigliuti
CIGLIUTI
Oggi ho appreso una notizia, che mi ha fatto star male. Il mio amico Cigliuti si è sentito poco bene, mentre si recava nel suo studio. E’ caduto per strada, in Via Fieschi, ed è stato portato al pronto soccorso dell’ospedale. Pare che stia migliorando, ma anche questo è un segno che le sue forze non lo reggono più. Ricordo il Cigliuti dinamico e attivo; pieno di vita, di interessi, di iniziative. Da un po’ di tempo, le sue energie si sono affievolite; il suo impegno si va offuscando; la sua intelligenza si appanna. E’ stato un grande maestro di vita. Uomo onesto e sereno: amministratore integerrimo. Si è occupato degli altri e degli interessi altrui trascurando i propri affari. Ecco il suo grande insegnamento e la sua lezione morale.
Roma, 22 giugno 1978
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- Andreotti
ANDREOTTI
Durante la discussione - a Camere riunite - dello scandalo Lockheed, nella giornata delle votazioni, allorché si discuteva oziosamente su alcune questioni procedurali di scarso rilievo, ebbi la fortuna di poter conversare alcune ore con il Presidente del Consiglio Andreotti. Si venne a sedere - con il Ministro Cossiga - vicino a me e ad Azzaro. Parlammo di una infinità di argomenti. Andreotti ha il dono meraviglioso dell’intelligenza e possiede un fascino notevole. Conversa con spirito garbato e, talora, pungente; è un uomo colto e brillante. Parlammo anche del divorzio e della sua tesi sul doppio regime del matrimonio, che non ebbe molta fortuna, ma che poteva costituire un efficace rimedio al problema. Mi chiede se avessi letto il libro “i mini bigami”, scritto da lui alcuni anni fa. Alla mia risposta negativa, aggiunse: ”Te ne faccio omaggio”. Non detti peso alla cosa, anche perché Andreotti non mi conosceva e non sapeva neppure il mio nome. Si verificò invece il miracolo dell’uomo. Alla sera stessa, il dieci marzo, nella mia cassetta postale in Senato, giunse una busta a me indirizzata personalmente da Andreotti e con una dedica: “Al senatore Giancarlo Ruffino, con molti auguri. Giulio Andreotti”. La cosa mi ha fatto molto piacere e mi ha dato la prova della sensibilità del Presidente del Consiglio. Occorre effettivamente essere uomini dotati e superiori. Andreotti è certamente uno di questi uomini eccezionali. Ho visto Evangelisti e gli ho detto che il suo capo era “un mostro”!
Roma, 31 marzo 1977
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- Fanfani
FANFANI
Oggi ho avuto un incontro interessante con Fanfani. E’ un uomo ancora valido ed energico, molto più giovanile rispetto alla sua età anagrafica (settantacinque anni). E’ stato un colloquio di quarantacinque minuti, molto vivace. So che Fanfani ha dato un valido giudizio di me. Ma non è di ciò che desidero parlare, quanto dell’uomo - personaggio Fanfani. Ha svolto una serie di osservazioni critiche sul partito e sull’attuale situazione politica preoccupante e senza vie di uscita. Mi sembrava un modesto socio di una sperduta sezione della D.C. - molto periferica - quasi che non avesse partecipato ai grandi movimenti ed alle trasformazioni del paese. Una serie di geremiadi, inutili e senza sbocchi positivi. Mi è parso un uomo “vecchio” - anche se valido e pieno di efficienza - con idee vecchie e superate. L’unica novità rilevante: il fatto che gli interessi elevati hanno favorito gli investimenti sui buoni ordinari del tesoro di capitali esteri. Mi sembra un po’ poco. Sono quindi rimasto deluso, anche se ho potuto esporre al Presidente Fanfani i problemi della mia Provincia ricevendo assicurazioni di intervento non generici, ma convincenti. Mi interessava esporre il caso della Fornicoke e dell’autostrada Savona - Torino. Speriamo bene. Un’ultima annotazione: il Presidente voleva parlare solo dei problemi di Savona. Mi è servito questo fatto perché, dopo avergli esposto i problemi locali, ho poi fatto sfoggio della mia sensibilità ed intuizione politica. Gli ho detto - fra tante altre cose - che la politica non è solo razionalità, ma vive di “messaggi” che i politici debbono lanciare alla gente, perché l’opinione pubblica possa recepirli in modo efficace e possa vedere in essi le idee guida per il presente e per il futuro.
Roma, 26 ottobre 1983
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- Taviani
TAVIANI
Taviani si è dato molto da fare per la mia nomina a Sottosegretario, alternando anche lui momenti di incertezza e delusione. Ha scritto ad Andreotti una lettera significativa con grande capacità di sintesi, ha fatto interventi telefonici su Gava, su Lega, su Scotti, su Gaspari, minacciando addirittura di non partecipare alle votazioni sul nuovo Governo (decisione drammatica per un uomo come Taviani, legato alle istituzioni ed al partito) assumendo alcuni contatti e partecipando agli incontri. Per festeggiare la mia elezione mi ha invitato al ristorante da “Pancrazio”, vicino a piazza Giordano Bruno. Pancrazio è un ristorante caratteristico, buono, dove si mangia bene e dove, secondo la tradizione, sarebbe stato ucciso Giulio Cesare. Taviani si picca non solo della storia di Colombo, ma anche della storia d’Italia e la conversazione, con lui, nonostante i suoi quasi settantasette anni, è sempre piacevole e veloce. E ‘ uomo che ha governato il paese per un numero imprecisato di anni, che ha una grande esperienza ed è soprattutto presbite. Essere presbiti costituisce talora un pregiudizio anziché un vantaggio, il vedere le cose che dovranno succedere, ma con un anticipo eccessivo, costituisce talora un pregiudizio. Taviani, nel 1973/74 parlò della fine degli opposti estremismi e anticipò il governo di solidarietà nazionale. Aveva capito che il partito comunista era pronto per un’alternativa democratica di governo ed in definitiva, seguendo le linee di Moro, voleva attirare il partito comunista per svuotarlo dall’interno, con ogni probabilità. Ma la sua affermazione, riportata sulla Repubblica, che l’estremismo era solo di destra e non di sinistra, contrastò con l’esplosione della violenza rossa (le Brigate Rosse infierirono nel nostro paese e le loro azioni violente culminarono con il sequestro di Moro, con l’uccisione della scorta e poi dopo 55 giorni di prigionia con la morte dello stesso onorevole Moro); ma proprio nel periodo del sequestro Moro era in Italia in corso un esperimento di solidarietà nazionale con un governo che era appoggiato, sia pure dall’esterno, dal partito comunista. Anche oggi nell’incontro con Vigliarda, da “Pancrazio”, nella vita politica regionale, Taviani è andato, a mio avviso, molto in avanti prospettando soluzioni per la Liguria che potranno anche verificarsi, ma sulle quali dovrò intervenire avvalendomi anche della mia attuale posizione.
Roma, luglio 1989
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- Andreatta
ANDREATTA
Ieri sono stato a colazione dalla Rosetta, vicino a casa mia, con Nino Andreatta. Un tete a tete interessante. Andreatta è un uomo notevole; un personaggio dotato di grande intelligenza e capacità. Si sente un poco frustrato nell’ambiente politico. Lo temono e, quindi, lo comprimono. Ma ha il dono dell’intelligenza: e l’intelligenza non si può non affermare. Abbiamo parlato di una infinità di argomenti: in modo piacevole ed interessante. Le tre ore sono passate in fretta.
Roma, 6 marzo 1977
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- Bartolomei e Bonifacio
BARTOLOMEI E BONIFACIO
Oggi sono stato a colazione con Bartolomei ed altri colleghi. Apprezzo molto le doti di sensibilità e di capacità del mio capo - gruppo. E’ un uomo che ha idee chiare; che non tiene le distanze: che sa essere alla mano e sa condurre il gruppo, con tanta sensibilità ed intelligenza. Gli ho parlato del caso Bonifacio. E’ un Ministro che riduce a crisi irrimediabili la difficile situazione della Giustizia. Non risolve i problemi, li complica. Affronta le questioni con un’ottica radicale. Di fatto, mette tutto in discussione; demolisce senza costruire; accentua maledettamente i disagi (si pensi alle carceri) senza proporre adeguate, valide ed efficaci soluzioni. Bonifacio rappresenta una delle maggiori delusioni della mia esperienza politica.
Roma, 6 marzo 1977
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- Carlo Russo
CARLO RUSSO
Se oggi il conduttore del treno è stato sollecito nello svegliarmi, venerdì, invece, arrivando da Roma, non mi ha svegliato affatto e mi ha fatto correre il rischio di finire a Nizza, in Francia. Mi sono svegliato per caso e, guardando l’ora, mi sono accorto che, se il treno fosse stato in orario, non saremmo stati lontani da Savona. Ho aperto gli scuri ed ho visto avvicinarsi la stazione di Varazze. A meno di un quarto d’ora da Savona. Mi sono affrettato a prepararmi, mentre il conduttore non si faceva vivo. Avevo una gran voglia di caffè, ma il treno ormai si avvicinava alla nuova stazione di Savona. Dovevo scendere. Chiamai il conduttore, ripetutamente. Si fece vivo per restituirmi il tesserino da parlamentare, allorché il treno era già fermo in stazione. Si scusò con me. Aveva svegliato, per tempo, prima di Genova, altri due miei colleghi, e poi si era addormentato profondamente. Scesi dalla carrozza, mentre il conduttore ripeteva le scuse, senza darmi il tesserino. Alle mie insistenze, mi chiese se ero Russo o Ruffino. Capii allora che Russo era ancora in carrozza. Gli dissi di andarlo a svegliare. Il conduttore pensava che Russo non scendesse a Savona, ma a Imperia. Feci fermare per qualche istante il treno, appena in tempo perché Russo scendesse dalla carrozza in pigiama! E’ stata una scena esilarante. Russo si era a malapena infilato un soprabito, ma il pigiama gli spuntava da tutte le parti. Aveva nelle mani i calzini, la cravatta e i pantaloni. Quel mattino, alla stazione di Savona, tutti conoscevano Russo e lo salutavano. Sembrava una solenne presa in giro. “Che imbecille! il conduttore” ripeteva Russo. “Gli avevo detto di chiamarmi per tempo e di bussare forte perché mi sarei addormentato profondamente essendo molto stanco. Grazie per averlo fatto tu!”.
Roma, 7 novembre 1977
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- Moro
MORO
Si succedono i giorni di ansia. Notizie contraddittorie su Moro e sulle sue condizioni. E’ vivo? E’ morto? E’ difficile dirlo. Io propendo più per la seconda soluzione. Anche se poco fa è arrivato un nuovo messaggio delle brigate rosse, che impone di trattare entro quarantotto ore la liberazione dei prigionieri comunisti. Sembra una farsa. E invece fanno sul serio. Certo è che il nostro paese è ridotto nelle condizioni di un paese del Sud - America. Stiamo raggiungendo un grado di inciviltà e di barbarie incredibile. E tutto ciò di fronte alla totale paralisi dello Stato. L’inefficienza e l’impotenza del nostro Stato hanno caratterizzato l’attuale situazione. Non so davvero come ne potremo venire fuori. Ancora stamani hanno ucciso una guardia carceraria a Milano e vi sono stati altri attentati a caserme ed a vetture del Carabinieri. Ci sentiamo tutti nel mirino delle brigate rosse! Stasera, nella Chiesa del Gesù, ci sarà una messa per Moro. La Messa della speranza, secondo le intenzioni dell’on. Zaccagnini. Ci rinchiuderemo nella preghiera. La nostra vecchia classe politica ha dimostrato la sua impotenza. Dovrebbe avere il pudore di andarsene: per sempre! Non è concepibile che alcuni uomini - stretti in una oligarchia singolare - si trincerino nel palazzo a difesa di un potere, che deve ormai sfuggire loro di mano. In nessuna democrazia occidentale, uomini reggono così a lungo le sorti di un paese. Ma neppure nei regimi totalitari avviene ciò che è avvenuto nel nostro paese. Tutto ciò determina uno scontento, un disagio ed un malessere non comuni. Ora la classe politica D.C. vuole ancora reggersi con l’apporto determinante del P.C.I.. E’ l’inizio della fine. Senza appello!
Roma, 20 aprile 1978
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- Bagnara
BAGNARA
E’ morto il mio amico Bagnara. Sembrava una quercia robusta ed indistruttibile. Forte, generoso, attivo, vivace. Un lavoratore eccezionale; una tempra di altri tempi; un uomo dalle idee chiare. Uomo di coraggio, non di compromessi. E’ scomparso all’improvviso, come si conviene ad uomini siffatti, che non possono conoscere giorni e giorni di sofferenza. Aveva avuto i primi sintomi del male qualche mese fa. Un attacco cardiaco, dal quale si era ripreso. L’avevo rivisto in aereo: aveva gli occhi diversi. Gli dissi di non affaticarsi troppo. Ma mi rispose che voleva morire in piedi. E così è stato. Lo ricordo con tanta simpatia, un intelligente collaboratore per cinque anni in Regione. Attento, preciso, chiaro e deciso. Serberò di lui un ricordo indimenticabile.
Roma, 23 marzo 1977
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- Carli
CARLI
Sovente ho la fortuna di trattare con il Senatore Carli i problemi che interessano la nostra economia, visti dal Suo osservatorio nazionale. Il sen. Carli è persona di vivace intelligenza e di piacevole conversazione. Ti insegna sempre qualcosa. Alla mia osservazione che sovente le leggi - anziché favorire i cittadini - costituiscono vincoli e lacci, talora incomprensibili e sempre difficilmente superabili, il sen. Carli mi ricordava che già Tomaso Campanella scriveva che: “Le leggi costituiscono lacci e lacciuoli nei confronti dei cittadini”. Ma, aggiungo io, Giovanni Giolitti, da buon piemontese, correggeva: “Le leggi si applicano nei confronti dei nemici, ma si interpretano nei confronti degli amici”. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole!
Savona, marzo 1988
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- Abba
ABBA
Oggi, in Commissione, ho citato, a proposito, il cairese Giuseppe Cesare Abba. Il Ministro Dal Falco, accennando ad un provvedimento del Governo per disincentivare il consumo dei medicinali, ha parlato di esentare dal contributo alcune categorie di persone (pensionati, etc.). Ho manifestato la mia perplessità, citando l’Abba. Quando, nel 1890, il Governo decise di dare un giusto riconoscimento ai garibaldini - “I Mille” della leggendaria impresa da Quarto al Volturno -, concedendo loro una pensione, al Ministero del Tesoro pervennero, non mille, ma centomila domande. Ecco che cosa significa stabilire alcuni benefici e privilegiare alcune categorie. Tutti finiranno con il rientrare nella categoria beneficiata!
Roma, 29 settembre 1977
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- Gino
GINO
Era un’estate molto strana. La gente diceva che il progresso aveva finito con lo stravolgere tutto: anche il corso delle stagioni. Piogge continue imperversavano da diversi giorni e sembrava di vivere in pieno autunno. I più anziani del paese si consolavano dicendo che era un tempo classico per la nascita dei funghi e che se fosse spuntato il bel tempo i funghi sarebbero nati nei boschi, all’improvviso. Ci volevano, però, due - tre giornate di sole. I bambini non andavano al fiume a giocare sulla sabbia. Le madri glielo impedivano perché l’acqua del fiume era increspata: segno della inclemenza del tempo. Faceva quasi freddo. Poi, una notte, un violento temporale, accompagnato da un vento fortissimo, spazzò oltre le montagne i pesanti nuvoloni. Il mattino dopo, un sole radioso riportò di colpo l’estate. Giorni caldissimi si succedettero e l’uva nelle vigne incominciava a prendere colore. Gino aveva atteso, con ansia, il bel tempo. Era un appassionato cercatore di funghi e tutte le sere scrutava il cielo per averne indicazioni. Ma le stelle non si erano mai viste per diversi giorni. Finalmente apparvero le stelle e la luna era piena. Cambiava il tempo e l’estate, forse, faceva capolino.
* - * - *
Gino era un tipo strano. Si era sposato, ma non aveva voluto figli. Lo terrorizzava la pesante responsabilità di educarli. La gioventù era difficile da governare, diceva sovente. E lui non se la sentiva. Aveva una sua personalità ed una sensibilità particolarissima. Qualcuno, di lui, diceva che era bizzarro. Ma in verità era un artista. Amava la musica ed aveva “orecchio”. Era un autodidatta e suonava molto bene sia il piano sia la fisarmonica. Era uno spettacolo vederlo suonare. Viveva intensamente il suo mondo e si allontanava da chi gli stava vicino. Era lontano quando suonava: seguiva il suo mondo, fatto di cieli immensi, di azzurri infiniti, di suoni magici, di melodie delicate, di passaggi strani e vissuti con intensità. Qualche volta scompariva dietro una grossa fisarmonica, più grande di lui, e sulla tastiera vedevi scorrere, velocissime, le sue dita affusolate. Poi rispuntava con la testa ed il volto era atteggiato alle smorfie più diverse. Era un personaggio! Si “sdoppiava” suonando e si trasformava. Faceva anche composizioni di musica leggera: ma era una musica diversa, con arrangiamenti che denotavano una forte e spiccata sensibilità artistica. Lo accompagnavano due suoi amici: il maestro, che suonava deliziosamente il violino e “Tillio” il chitarrista. Facevano un trio richiesto nelle feste private anche perché Gino, alla musica, accompagnava sempre un certo “savoir faire”. Lui stava bene con gente che lo capiva e che lo valorizzava. Allora si sentiva a suo agio e, in un crescendo di musiche e di attrazioni, (parlava in modo appropriato, anche se talora nelle sue descrizioni toccava temi scottanti che magari scandalizzavano qualcuno, ma che dimostravano una sua sensibilità), faceva trascorrere la serata in modo piacevole.
* - * - *
Da tre giorni faceva bel tempo. Ed allora era venuto il momento di andare alla ricerca dei funghi. La gente diceva che ne nascevano. Prese un giorno di ferie e, con la “sua” Luciana, decise l’avventura. Passò persino una notte agitata: aveva avvertito qualche dolorino strano allo sterno. Ma era il desiderio che l’agitava e lui lo sapeva. Ma per questi dolorini aveva delle pastiglie miracolose che gli toglievano il dolore, subito, dopo averle deglutite. Partirono, a bordo della moto. Non aveva mai voluto la macchina, anche se certo non gli mancavano i mezzi per procurarsela. Ma la moto era un’altra cosa. Ti dava una strana sensazione l’ondata di vento, che ti si sbatteva contro. E Gino viveva di sensazioni. La meta era Murialdo, un paese nel verde dell’Alta Val Bormida, dove i funghi nascevano in certi boschi che Gino conosceva bene. C’era una certa salita: occorreva quasi inerpicarsi. Ma poi nel bosco, dopo la fatica, si godeva il profumo della natura. Ogni conquista, diceva, è frutto di rinunce e di fatiche. Ma quel giorno lo strano dolorino lo riprese a colpire quando erano in moto. Ne parlò con Luciana che volle tornare indietro. Ma lui decise di proseguire. Prese una pastiglia. Si inerpicarono su per ripidi sentieri e si trovarono, Gino e Luciana, nel bosco. Che meraviglia! La natura ispirava sensazioni sempre nuove e diverse a Gino. Si sentiva un altro. Anche quel giorno si sentì un altro. Trovò o sognò di trovare migliaia di ovuli e di funghi in una danza vorticosa e meravigliosa. Che melodia. Il canto degli uccelli, la pace del bosco, il profumo dell’erba, l’odore caratteristico dei funghi. “Luciana se trovi anche tu i funghi che ho trovato io, ti do in premio il Paradiso”. Aveva appena finito di dire o di sognare. E cadde a terra, stroncato da infarto, senza pronunciare altre parole. Era vissuto da artista e moriva da artista. Ai funerali, il violino e la chitarra suonarono per lui cose meravigliose. Ma non c’era più la sua fisarmonica. Era rimasta nell’angolo di casa sua. Le sue dita affusolate, quasi per un incanto misterioso, si portarono sulla tastiera. E ne venne fuori un concerto, in Chiesa, che fece piangere tutti. Era morto un artista.
Savona, 1° agosto 1977
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- Ruffino
RUFFINO
Mi sono alzato molto presto, stamani. Desidero riprendere il colloquio con le mie note e dire le mie impressioni, far risaltare i miei sentimenti, parlarvi di me e del mio cuore. Mi chiamo Ruffino: questo cognome che a volte mi mette in imbarazzo. Ruffino da Rufus, mi diceva il mio grande professore di latino, Giusto, al liceo di Mondovì. Ruffino - dico io - come il Ruffino del Chianti, noto in tutta Italia e anche nel mondo per il vino toscano. Uno che - come me - ha avuto il coraggio di portare in pubblico il suo cognome. Il Chianti Ruffino, leggiero ... . Mi nasce alla mente un caro ricordo, di qualche anno fa, allorché eravamo andati in vacanza al Sestrière. La nostra prima (e forse ultima?) vacanza invernale. A tavola ci facevamo servire il Rosatello di Ruffino. Una bella confezione, con una etichetta graziosa, che indicava le caratteristiche del vino. Un vino leggiero. Fabio - osservatore attento e silenzioso (aveva allora solo nove anni e frequentava la quarta elementare) aveva fatto notare la “i” in più in quella descrizione della caratteristica del vino: leggiero. Tutti concordammo sul rilievo: anche i nostri amici, che - in fatto di letteratura e di terminologia - erano bravissimi. E Fabio allora si decise a scrivere alla società Ruffino, per far loro presente l’errore in cui erano incorsi. Passarono una ventina di giorni e poi arrivò la risposta. Non vi era alcun errore nell’etichetta. E’ pur vero che si poteva scrivere “leggero”, ma la dizione più corretta era quella dell’etichetta con la “i” in più e questo per una serie di ragioni, che ora non ricordo. So che facevano riferimento anche ad un vocabolario famoso. Una vocale in più. Forse - anche per quei Ruffino - l’inserimento di una vocale in più risente di un sentimento freudiano. E’ meglio abbondare nelle altre parole con le vocali in più, per togliere la tentazione a qualche malintenzionato di aggiungere al nostro cognome la vocale inopportuna, anche se è la prima dell’abbecedario!
Roma, 23 marzo 1977
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- I Genitori
I GENITORI
Mia madre mi ha raccontato, un giorno in cui era facile alle confessioni (per mia madre l’argomento sessuale era veramente tabù), che mio padre non ha conosciuto altra donna all’infuori di lei. Mia madre, quel giorno, accompagnò tale ricordo avanzando qualche riserva e qualche dubbio. Non certo - mi disse - dopo il matrimonio. Su questo non avevo dubbi. Mio padre amava il lavoro, la famiglia, la sua terra e la sua donna. Aveva grande considerazione per mia madre che riteneva donna di capacità e di dirittura morale notevoli. Non solo. Ma in questa stima vi giocava anche un altro elemento: quello sociale. Mio padre riteneva mia madre di condizione sociale più elevata e, forse anche per questo, l’aveva collocata su di un piedistallo, dal quale non la fece mai cadere. Mia madre, infatti, anzi la famiglia di mia madre, era soprannominata la famiglia dei “conti”. Nelle vene dei Paris dovette scorrere, secoli fa, sangue blu. Anche l’albero genealogico dei miei antenati meriterebbe un approfondimento. E, per la verità, mia madre ben meritava la stima e la considerazione di papà Lorenzo.
Cervinia, 14 agosto 1977
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- La Mamma
LA MAMMA
Desidero ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini per la scomparsa della mia Mamma, alla veneranda età di novantuno anni. Come tutte le mamme, era una donna eccezionale, dotata di una grande capacità di lavoro. Ogni circostanza era utile per ricordare e farsi ricordare: nei Natali e nei compleanni, nelle Pasque e negli onomastici, fioccavano regali ai figli, alle nuore, ai nipoti e ai pronipoti. I regali li ricamava Lei: oggetti utili per la casa e non cose voluttuarie, come diceva Lei. Mamma Rosetta ha lasciato un vuoto immenso. Ci attenua il dolore la certezza di Sant’Agostino: “i morti non sono assenti, sono invisibili. Gettano i loro occhi pieni di luce, nei nostri pieni di lacrime”. Ciao, Mamma ...
Savona, aprile 1988
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- Il Papà e gli USA
IL PAPA’ E GLI USA
Nel mese di gennaio di quest’anno ho fatto un viaggio negli Stati Uniti con la Commissione Finanze e Tesoro del Senato. Era la prima volta che mi recavo negli U.S.A.: l’esperienza è stata interessante e, anche per ragioni affettive, il viaggio è stato per me emozionante. Mio padre, infatti, era stato giovanissimo a San Francisco. Non trovava lavoro in Italia ed è andato in America nei primi anni del secolo, a lavorare (anche nei lavori più umili). Poi ritornò in Italia per sposarsi e qui venne trattenuto da mia madre. Mio padre mi parlava sempre della “mitica” America. “Gli americani sono avanti di cinquant’anni” mi diceva sempre e, quando il dieci giugno 1940 scoppiò la seconda guerra mondiale, ricordo le sue parole: “contro il mondo anglosassone non si può vincere: saremo sconfitti”. Una previsione di pochi, il dieci giugno 1940! Due osservazioni: - In America le cattedrali sono rappresentate dalle banche e dalle società finanziarie. - In America è scarsamente sviluppato lo spirito di solidarietà. La società americana è più crudele e, anche se più ricca, finisce con l’isolare maggiormente l’individuo per l’assenza pressoché totale della solidarietà che, da noi, ha le sue profonde radici nel cristianesimo.
Savona, marzo 1988
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- Pia
PIA
La casa è vuota senza di lei. E’ così candidamente pura. E’ limpida come fontana di sorgente e mi fa rabbia saperla così pura e così indifesa. Credo che non vi sia donna come lei: candida, ingenua, senza malizie. Ed io ... che sono tutta una malizia. Siamo diversi, anzi opposti, anche in questo. Io mi specchio in lei e ne sono felice. Credo che raramente si possa amare una donna, così come la amo io. Stasera sono solo e mi sento triste. Non c’è lei con i suoi problemi che l’incatenano e che mi attraggono. Avrei potuto pensare di tutto: anche che mi sarei fatto frate. Ma non potevo pensare di interessarmi alle piccole cose di questo mondo: alle vetrine delle città, ai vestiti, ai colori, agli accoppiamenti di colori diversi. Non avrei immaginato che potessi interessarmi alle feste, alle amicizie, agli incontri. Mi sembravano inutili perdite di tempo. Ed invece ora ci provo un gusto, quasi morboso. Ho finito ora di telefonare alla Pia. Una conversazione piacevole e piena di intimi significati. Le voglio ancora molto bene, dopo quasi vent’anni. Le ho parlato della rosa, ancora intatta, che le ho regalato domenica, dopo le nozze della figlia di Taviani. Passavamo per le vie di questa magnifica città, che si scopre, giorno dopo giorno, ai tuoi occhi sorpresi. Ogni angolo è novità, ogni piazza è segno di caratteristiche uniche e singolarissime. Un giovane mi ha offerto una rosa. L’ho acquistata per lei. Nella bottiglia piena d’acqua, la rosa rossa è sbocciata in modo meraviglioso.
Roma, 5 luglio 1977
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- Sull'Aborto
SULL’ABORTO
La vita è un mistero profondo. Sin dal suo inizio, sin dal momento del suo concepimento. Lo sperma e l’ovulo, unendosi per caso, danno inizio alla individualità. Una caratteristica che renderà inconfondibile la persona che ne nascerà. Ma oggi, con l’aborto, vogliamo legalizzare l’interruzione volontaria della gravidanza. Il disegno di legge è all’esame del Senato ed esso mi tormenta. Come cattolico, debbo dire il mio no, testimoniato da considerazioni scientifiche. Come uomo, risento del clima di permissivismo e di egoismo che pervade la società. Non riesco, peraltro, a dimenticare gli esami di laboratorio che io stesso feci allorché Pia ritardò di qualche giorno le mestruazioni. La mia casa era diventata un inferno. Mia moglie esigeva da me una solidarietà che io non le potevo dare. Anche se, onestamente, debbo riconoscere che la mia resistenza si faceva - di giorno in giorno - meno robusta. Non volevo ammettere - neppure col pensiero - che mia moglie venisse da me autorizzata ad abortire. E continuavo, con costanza, a fare gli esami. C’è l’anello o non c’è l’anello. Se nella soluzione appariva l’anello, lei era incinta; se no, no. Pia vedeva l’anello; io, decisamente, no. Pia aveva in quel periodo le traveggole e la sola idea di rimanere incinta la turbava molto, psichicamente. Io avevo la forza dei fiduciosi. Poi vennero le mestruazioni, dopo qualche giorno di ritardo. E mai sangue fu più gradito nella mia casa!
Roma, 22 febbraio 1977
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- Sulla Pena di Morte
SULLA PENA DI MORTE
Mi ha colpito una notizia apparsa su alcuni giornali. Il mostro della Bielorussia, l’uomo che in quattordici anni ha assassinato trentasei donne, è stato condannato a morte dalla Corte Suprema dell’Unione Sovietica. Aveva quarantuno anni, era capo di una officina meccanica; era persona al di sopra di ogni sospetto anche perché iscritto al partito comunista ed “assistente volontario” della polizia. Sposato con due figli. Per gli stessi fatti, erano stati condannati, in undici processi separati, ben quattordici uomini innocenti, uno dei quali addirittura condannato a morte. La sentenza era stata eseguita e l’innocente riabilitato. Dopo morto. Come Bucharin. E’ un avvenimento, anche questo, che dimostra la necessità di giungere, anche in quei paesi in cui ancora sussiste, all’abolizione della pena di morte. Come fatto di inciviltà.
Savona, marzo 1988
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- Comunisti e Socialisti
COMUNISTI E SOCIALISTI
Abbiamo lavorato anche il giorno dei morti. Non vi è più religione! Un incontro al Ministero della Partecipazioni Industriali per tentare il salvataggio dello stabilimento Fornicoke, contro il quale si sono addensate grosse nubi di carattere politico. Era uno stabilimento modello, produceva coke fra i migliori, aveva un bilancio in attivo e ... deve chiudere. Non si sa bene perché o, meglio, lo si sa fin troppo. Due sono le linee politiche convergenti: per i comunisti, lo stabilimento dà fastidio perché in esso prevalgono gli operai democristiani e perché occupa un’area molto appetibile per il Comune ai fini di un utilizzo per attività diverse; per i socialisti, le interferenze del Ministro veneto De Michelis che intende salvare - a fini ... elettorali - lo stabilimento, molto decrepito, di Marghera. La battaglia è ancora aperta ed io non intendo demordere. Alla sera una grande serata con Abrate, Urbani, Pastore, Ricino e Chebello. Se la gente ci avesse visto, avrebbe concluso che tutti i salmi finiscono in gloria. Un gran signore, l’on. Pastore!
Roma, novembre 1977
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- Sul Finanziamento dei Partiti Politici
SUL FINANZIAMENTO DEI PARTITI POLITICI
E’ domenica e sono qui a riempire almeno una pagina del mio diario. Sono di partenza dopo la mia più lunga permanenza a Roma. Lo scandalo Lockeed tiene impegnato il Parlamento, anche di domenica. E’ finita da poco la seduta a Camere congiunte. Oggi pomeriggio hanno parlato l’Adele Faccio e l’on. Salatini, D.C.. Non ho sentito l’intervento della Faccio. E’ stata brevissima: 15 minuti. Ma essa ha raggiunto il suo obiettivo. Apparirà in televisione per 5 minuti, certamente enumerando gli scandali e le malefatte nostre. E - nell’opinione pubblica - crescerà la sfiducia nelle pubbliche istituzioni e l’ondata di qualunquismo colpirà tutti. C’è ragione di tale fatto ed è giustificata la sfiducia della gente? Noi politici viviamo talora distaccati dalla realtà e perdiamo il senso delle proporzioni e dell’umana dimensione delle cose. E’ una considerazione che faccio malvolentieri, ma sostanzialmente vera. Io credo che un partito abbia bisogno di fondi per vivere: ma non si può autorizzare il furto per il partito. L’obiettivo non può costituire una causa di giustificazione di un fatto illecito e penalmente perseguibile. E invece ... . Due sono le strade da percorrere. Primo: fare un bilancio di previsione delle spese e confrontarlo con le entrate che ci derivano dallo Stato in base al finanziamento pubblico dei partiti. E, poiché le spese superano di gran lunga le entrate, occorre ricercare altre fonti di finanziamenti leciti. Io credo - e non penso di essere un ingenuo ottimista - che se la D.C. chiamasse a concorso la gente, troverebbe ampie adesioni. Ma non hanno il coraggio di fare ciò e neppure possiedono la necessaria pulizia morale. Sono operazioni che richiedono entusiasmo, pulizia morale ed onestà. Ed oggi sono queste le virtù che difettano tra i politici. Un’altra azione potrebbe essere quella di passare all’attacco e di denunciare la vergognosa speculazione degli altri partiti, primo fa tutti il P.C.I., il quale opera con i paesi dell’Est, conseguendo vantaggi non indifferenti. E che cosa è questa se non un grave atto di corruzione? Ma su di ciò si preferisce stendere un pietoso velo di silenzio. Ovviamente hanno le mutande troppo sporche!
Roma, 6 marzo 1977.
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- Sul Latino nelle Scuole
SUL LATINO NELLE SCUOLE
Un intervento in Aula è stato da me indirizzato nei confronti del problema relativo all’insegnamento del latino nella scuola media. La Camera ne ha proposto la sospensione; il Senato ha aggiustato un poco il tiro, senza peraltro riprendere la necessità di un insegnamento della lingua latina. Per aspera ad astra! Ed invece ... poiché il latino è difficile, è meglio sopprimere l’insegnamento. Ho protestato - solo contro tutti - per la dequalificazione della scuola, per il livellamento verso il basso. Ho accennato alla ricchezza dell’insegnamento della lingua latina, sotto il profilo umanistico, ed ho messo in guardia dal rischio di tecnicizzare l’umanesimo e non di umanizzare il tecnicismo, che con questa ulteriore innovazione si correva. Ne sono uscito bene, da questa vicenda. Con dignità! Altri due interventi, sempre in Aula, riguardavano problemi locali: la viabilità sulla via Aurelia e sulla linea ferroviaria e del depuratore della Val Bormida. Credo che il Senato abbia sentito parlare, forse per la prima volta, dei nostri paesi e dei nostri problemi. Anche questo è motivo di conforto, in mezzo a tante fatiche ed incomprensioni.
Roma, 31 maggio 1977.
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- Sulle Manette Facili
SULLE MANETTE FACILI
La mia protesta per le manette facili non è solo di questi giorni. In un recente passato, intervenendo alla Commissione Giustizia del Senato, ebbi a dichiarare espressamente: “ogni giorno la cronaca offre episodi non consolanti di arresti eseguiti in modo quantomeno incauto, specie in presenza di reati per i quali l’arresto non è obbligatorio, ma semplicemente facoltativo”. Di fronte a recenti avvenimenti non può non elevarsi analoga protesta. La libertà personale è il bene più prezioso che Dio abbia dato all’uomo. Oggi il Magistrato ha un potere quasi sovrano (quello, cioè, di togliere la libertà all’uomo) e deve usarlo con grande senso di responsabilità ed equilibrio. Un ordine di cattura che viene annullato dal Tribunale della Libertà, o che si trasforma il giorno dopo in arresti domiciliari o il giorno dopo ancora in libertà provvisoria; un ordine di cattura emesso da un giudice incompetente; un ordine di cattura che viene revocato sono fatti che lasciano il loro segno e fanno meditare. Chi potrà togliere il marchio di infamia a coloro che, anche per una sola giornata, sono finiti nelle carceri italiane? Né va dimenticato che la stampa è attenta ( e non può non esserlo) a cogliere gli aspetti scandalistici della vicenda, mettendo alla berlina la persona interessata. Con le ovvie conseguenze a ciò connesse, nei rapporti con i familiari, con i vicini, con la gente.
Savona, marzo 1988
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- Su Borrelli, Colombo e gli Attentati
SU BORRELLI, COLOMBO E GLI ATTENTATI (*)
Attentati:“ Borrelli e Colombo facciano il loro dovere. Il Procuratore Borrelli commette un grave peccato di presunzione e superbia: le bombe non sono esplose contro i Magistrati di Mani Pulite, ma sono una risposta ai successi delle forze dell’ordine contro la criminalità organizzata; agli arresti eccellenti; ai sequestri patrimoniali dei mafiosi”. Lo afferma Giancarlo Ruffino, senatore D.C., ex sottosegretario al Ministero dell’Interno, componente della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama. Per Ruffino gli attentati di Roma e Milano dimostrano la debolezza del sistema criminale, che si sente braccato e cerca di attenuare il contrasto dello Stato. Sono anche -continua il senatore- una risposta alle posizioni assunte dal Papa contro la mafia nazionale ed internazionale. “Se Borrelli pecca di presunzione - conclude l’esponente dello scudocrociato - è veramente incomprensibile che il dott. Colombo solleciti elezioni politiche anticipate nel nostro Paese. Colombo faccia il suo dovere di magistrato. Non cerchi di prevaricare gli altri Poteri. Poiché - spiega Ruffino - quando un Potere non rispetta l’equilibrio e si attribuisce compiti non suoi, in quel paese la Democrazia muore”
Roma, 29 luglio 1993
(*) si tratta di una Agenzia AGI del 29 luglio 1993
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- Al Liceo Classico di Mondovì
AL LICEO CLASSICO DI MONDOVI’
Riprendo la buona pratica di scrivere note ed appunti sulla mia vicenda umana. E’ passato troppo tempo dalle ultime mie osservazioni e mi accorgo di essermi impoverito, in qualche misura. Forse è venuto meno in me quello spirito di avventura e di entusiasmo, che era subentrato in modo prepotente dopo le elezioni del 20 giugno? Stasera è l’ultimo giorno di carnevale. E, si sa, a carnevale ogni scherzo vale. Anche quello di riprendere, con decisione, una consuetudine di annotare pensieri, sentimenti, impressioni, ricordi. Ricordo di tanti anni fa ... A scuola, al liceo classico di Mondovì. Scrivevo - anche allora - sul mio diario di scuola le impressioni di un giovane, pieno di vita e di ambizioni. Vi erano i segreti della mia vita; i pensieri più riposti; i desideri qualche volta inconfessati. Era il mio segreto. Poi, un giorno, mi dimenticai a scuola il mio diario, che venne evidentemente letto dalle mie compagne della sezione “A” (che belle figliole !) nella cui aula l’avevo inavvertitamente dimenticato. Sono penetrate nella mia anima ed io ne rimasi ferito. Come se una lama tagliente mi avesse colpito nelle mie viscere e le avessi esposte, sanguinanti, alla luce del sole. Ma ero anche compiaciuto del fatto. Meglio. Alla stizza dolorosa subentrò poi, nel mio animo, un’orgogliosa sicurezza di me e della validità di quello che avevo scritto. Le mie compagne, infatti, incominciarono a guardarmi in modo diverso: non più come un loro compagno di scuola; ma con occhi da grandi. Ero cresciuto di importanza ai loro occhi e la cosa non poteva non riuscirmi piacevole e stimolante. C’era la figlia del prof. Burdosa: una bruna maestosa e donna già fatta, con seni turgidi e gambe sane. C’era la bruna che ora fa la farmacista a Savona; che fiore e che splendore di ragazza. Una bellezza classica, greca, da Fidia.
Roma, 22 febbraio 1977
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- Al Tribunale di Mondovì
AL TRIBUNALE DI MONDOVI’
Un episodio piccante. Sono stato ad una ispezione di località con un giovane Giudice del Tribunale di Mondovì. Si discuteva in ordine ad alcuni diritti reali. La controparte aveva costruito un garage con terrazzo, che consentiva la “prospectio” e “l’inspectio” nel fondo di una mia cliente. Costei abita a San Remo ed il marito ha una farmacia molto avviata. Non si comprende il motivo di tanta acrimonia verso il vicino, a cui è legata da vincoli di parentela. O, meglio, non l’avevo compreso, sino al giorno dell’ispezione. Era una bella giornata di sole. Sono arrivato, alla villa, solo. Non c’era alcuno, ancora. Il cancello in ferro battuto (grazioso segno di altri tempi) era aperto. Sono andato avanti lungo il viale. Mi godevo l’aria del mattino, la freschezza riposante del luogo, il candore del risveglio della natura. Gli uccelli cinguettavano, l’erba respirava; gli alberi affacciavano le foglie al primo sole e godevano del cinguettio degli uccelli. I miei polmoni respiravano appieno, anche se il luogo era descritto come, in parte, inquinato dall’industria chimica vicina. Ero sereno e disteso. Non mi importava di dover attendere e ciò costituiva un fatto singolare per me, che faccio sempre attendere e mi innervosisco, quando arrivo primo anche solo per un secondo. Poi sono arrivati i miei clienti. Lei pimpante e graziosa, con l’erre moscia. E’ una signora sui trentacinque anni, ancora “tipino”. Era stata il giorno prima ad abbronzarsi. Lui, il farmacista, piccolo e tozzo. Mi ha detestato, subito. Non gli pareva vero che un senatore potesse essere così “giovane” (almeno apparentemente), senza capelli bianchi, mentre lui, pur essendo più giovane di me, aveva già i capelli quasi tutti bianchi. Infine arrivò il Giudice ed il collega di controparte ed iniziò la discussione e la trattazione della causa. Le parti si scontravano, con tenacia e acimonia. La mia cliente spiegava con foga le sue ragioni: si portava vicino alla costruzione; indicava il confine; mostrava un passaggio carraio che era stato ridotto a passaggio pedonale. La controparte o, come diciamo noi avvocati, la convenuta, non era presente: era rappresentata dal marito, che rispondeva aggressivamente alle pretese ed alle ragioni della mia cliente. La vera convenuta era passata davanti a noi e al Giudice due volte: vestita con una certa eleganza e ricercatezza. Aveva rivolto un saluto affrettato a tutti. E mi è parso di cogliere un saluto più cordiale al marito della mia cliente, il farmacista. La discussione proseguì per circa un’ora. Il giudice guardava - in modo sfaticato - le parti. Da buon romano non capiva tanta acredine e dava chiaramente ad intendere di attribuire alla causa ben scarsa importanza. Tentò una conciliazione che non diede esito. Poi venne il momento del commiato. La controparte ci volle portare in casa. Mi rifiutai, per ovvie ragioni, ma pretesi di salutare il marito della cliente. Dov’è Domenico? Chiese la moglie. “Venite in casa: Domenico sarà in casa” rispose il marito della controparte. La mia cliente imbiancò in volto: io non nascosi la mia sorpresa. Ci avviammo in casa. Domenico! Domenico! E Domenico non compariva e neppure compariva la Domenica. La casa ha un ingresso ampio dal quale si diparte una scala, che porta al 1° piano. Si affacciarono dopo un poco prima lei e poi lui. Mi parvero in imbarazzo. Specialmente lui aveva chiaramente la faccia e l’espressione di chi sia stato colto in fallo. Che cosa facevano quei due, mentre gli altri due litigavano e discutevano con rabbia? Il fatto mi ha colpito e mi ha fato riflettere sulle vicende umane.
Roma, 7 giugno 1977.
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- Il debutto in Cassazione
IL DEBUTTO IN CASSAZIONE
Ieri ho fatto il debutto in Cassazione, alla prima sezione penale. E’ stata una felice esperienza. Ero agitato ed inquieto ed ero stato a vedere l’ambiente il giorno prima, per rendermi conto di tutto e per cogliere - come è mia abitudine - fior da fiore. Ho discusso il processo, molto bene, con dovizia di riferimenti e con note di dottrina e di giurisprudenza. Ho messo in difficoltà il Procuratore Generale che aveva chiesto la continuazione del reato per due rapine, di cui una già definita con sentenza passata in giudicato e svoltesi a distanza di quasi sei mesi l’una dall’altra e aveva rifiutato di ritenere la continuazione fra le lesioni volontarie, di cui si era reso responsabile il mio cliente, commesse contro le stesse persone, per gli stessi oggetti e a distanza di quattro mesi l’una dall’altra. Devo riconoscere che sono stato brillante e vivace e che ho favorevolmente impressionato la Corte. Qualche supremo Giudice si è svegliato alle mie argomentazioni dette con vivacità. Perché dovete sapere che i Giudici in Cassazione talora si assopiscono dolcemente, cullati dalle parole - talora inutili - degli avvocati e dei Procuratori Generali. Purtroppo l’esito del processo (forse scontato, ma, si sa, la speranza è sempre l’ultima a morire) è stato negativo. Il commesso che mi ha telefonato l’esito, era scandalizzato. “Hanno preso un abbaglio ; hanno fatto un errore!” Continuava a ripetermi, eccitato dalla mia difesa. Poi ho capito che il suo entusiasmo per me derivava forse più dalla confusione che aveva fatto scambiandomi per un senatore socialista, che dalla persuasione del mio argomentare. “Sono il compagno Locchi della sezione ...” Rimasi sorpreso e non volli deluderlo: “bene compagno”! La moglie del mio cliente, dopo la difesa, mi abbracciò e baciò, commossa. Mi commossi anch’io. Solo i meridionali ti sanno dare queste soddisfazioni, per l’esuberanza del loro carattere e la spontaneità dei loro sentimenti. Noi settentrionali siamo molto più freddi e meno spontanei. Forse più razionali, ma senza il cuore, la vita diventa arida e stepposa.
Roma, 10 marzo 1978.
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- La Nomina a Sottosegretario
LA NOMINA A SOTTOSEGRETARIO
O il mio momento viene adesso o non viene più. Sono le diciannove e quindici del 25 luglio 1989 e da alcuni giorni sto vivendo in uno stato di ansia e di trepidazione, quale non mi capitava da tempo. Gli esami di maturità e lo stesso esame di laurea mi avevano creato meno emozioni. Alle sedici e quindici arriva la telefonata inaspettata dal centralino del Senato: il Ministro Gava ha chiesto di Lei. Chiamatemelo subito, dico al centralinista, e subito dopo ho in linea il Ministro Gava: “vieni da me, ti devo parlare”. “Dove?” “Nel mio ufficio in Monte della Farina n.43”. “Monte della Farina? E dove si trova?” “Vicino a Largo Argentina”. Corro trafelato di corsa in Piazza Madama, sulla piazza principale del Senato, c’è un taxi pronto, inforco il taxi di corsa pregando il taxista di portarmi in Via Monte della Farina. Il taxista non sa dove sia. Gli parlo e gli dico che è vicina a Piazza dell’Argentina e l’indicazione serve certo al taxista, ma non l’orienta perché è una via che lui non conosce. Mentre lui guida mi faccio dare lo stradario e mentre si orienta, mi porta in prossimità di Via Monte della Farina, dove io individuo subito l’ingresso del Ministro Gava poiché vi sono quattro o cinque uomini in borghese, chiaramente poliziotti di scorta per la sicurezza del Ministro. Sono le sedici e quaranta quando mi incontro con lui. Il Ministro mi ha proposto di diventare il suo colloboratore al Ministero dell’Interno. E’ stato un grande onore per me. Quando sono uscito ho pianto dalla commozione e dalla gioia. Mentre attendevo Gava, il suo segretario, Avv. D’Auria, mi accennava che il Ministro doveva parlarmi, che tutto era ancora in alto mare che vi erano in fondo ancora delle controversie, che lo stesso Onorevole Santuz era andato in visita al Quirinale come Ministro della Funzione Pubblica e ne era uscito come semplice deputato perché al suo era stato inserito all’ultimo momento l’Onorevole Gaspari, destinato peraltro alla Funzione Pubblica, dirottandolo dalla Cassa per il Mezzogiorno, riservato all’ultimo momento all’Onorevole Misasi. I giochi, quindi, erano ancora tutti possibili e le sorprese potevano non mancare. Mi sono sorpreso del fatto che il Ministro, sull’uscio, mentre mi accompagnava alla porta, mi ha detto di non parlare a nessuno del nostro incontro, neppure a Taviani. Ho mantenuto la parola fino a che una telefonata concitata dell’Onorevole Manfredi mi ha portato da Taviani. Manfredi, infatti, mi telefona e mi dice: presto, dì subito a Taviani che telefoni a Gava perché il tuo nome sta vivendo un momento difficile, c’è un passaggio difficile da superare. Non ho capito bene il senso di questa telefonata, ma mi sono ovviamente preoccupato. Sono corso da Taviani, il quale, vedendomi concitato, ha chiamato il Prof. Lauro, capo della segreteria di Gava, ma il Ministro era già in Consiglio dei Ministri per la nomina dei Sottosegretari. Ogni intervento era ormai tardivo. Il senatore Taviani ha inteso la telefonata dell’onorevole Manfredi come un elemento voluto a dimostrare che anche Manfredi si era pronunciato a mio favore e nulla più. La mia partecipazione alla lista dei sottosegretari era, sempre secondo il senatore Taviani, certa, sia perché la Liguria avrebbe dovuto essere rappresentata al Governo e non vi era nessun altro democratico cristiano in lista d’attesa, sia perché il senatore Taviani, parlando con Gasperi ed altri autorevoli esponenti, aveva minacciato di non presentarsi a votare se nel Governo non ci fossi stato io. Taviani mi ha anche fatto vedere una lettera che aveva indirizzato all’onorevole Andreotti del tutto favorevole a me, nella quale ipotizzava anche un sottosegretariato per l’onorevole Zoppi, da tempo sempre amico di Andreotti, ma l’eventuale presenza di Zoppi non avrebbe dovuto escludere la mia partecipazione. Per la verità, le previsioni del senatore Taviani si sono avverate anche se debbo dire che due Regioni sono state sprovviste di parlamentari nel Governo: esse sono il Molise e, quel che più conta, la Sardegna, reduce dalla vittoria notevole in sede regionale dell’undici giugno u.s. ; ma, tant’è, il fine talora giustifica i mezzi e, poiché la Sardegna aveva già votato, il Governo poteva fare a meno anche della presenza di un parlamentare sardo (anche se i sardi hanno autorevoli rappresentanti in Parlamento). Taviani se ne è andato a casa ed io sono stato in ufficio in uno stato di ansia, allorché mi chiama il capo gruppo in Regione Gualco, facendomi le congratulazioni come Sottosegretario agli Interni. Ringrazio Gualco, ma gli comunico che Manfredi aveva fatto intravedere la possibilità addirittura di una mia esclusione dalla compagine governativa. Avverto Gualco con qualche sorpresa e dopo dieci minuti una sua telefonata mi conferma di essere in lista come Sottosegretario agli interni. Il cerchio sembra chiudersi. Speriamo bene. Ho pregato Turtulici di rimanere al Senato fino a che il Senato non chiuda ed io mi ritiro in casa da solo a meditare con l’ansia e la trepidazione nel cuore. Il telegiornale delle venti annuncia che il Consiglio dei Ministri è in corso e l’annunciatore riferisce che, se vi saranno novità, chiederà la linea per comunicare la lista dei vice ministri. Leggo il libro di Spinosa “Starace”, ma con il passare del tempo l’ansia cresce. Guardo il giornale, il primo telegiornale è alle ventidue e trentacinque su Rai Tre. Ho preso appuntamento con il senatore De Cinque, con la signora e con la figlia per andare a cenare fuori. Sono stato ospite loro il giorno prima e li ho trovati di una cordialità e delicatezza squisiti. Donna Giulia è eccezionale per la sua apertura e per la sua totale assenza di invidia e gelosia. E’ raro trovare in una donna queste virtù davvero singolari. Mi ha visto distrutto, vuoi per l’emozione della vigilia, vuoi per le forti preoccupazioni che avevo avuto allorché Benedetta aveva avuto l’incidente con la bicicletta e mi ha invitato prima in casa ed alla sera addirittura al Tulà. Io dovevo ricambiare questa cortesia e li ho invitati questa sera a cena da Fortunato alle ventuno e trenta. Ma una telefonata di donna Giulia mi dice che bisogna aspettare il telegiornale delle ventidue e trentacinque, perché anche lei vuole festeggiare, vuole che brindiamo insieme e non vuole partecipare alla cena se non dopo aver sentito il telegiornale. Il telegiornale delle ventidue e trentacinque annuncia, per me tristemente, che il Consiglio dei Ministri è ancora in corso. Mi inquieto, ma il dovere di essere gentile con amici cari mi impone di telefonare loro e di andare a cena anche se non vi sono notizie. Da Fortunato, dopo un quarto d’ora, arriva l’onorevole Cristofori, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Segretario del Consiglio dei Ministri, che porta con sé e la lascia all’onorevole Viscardi la lista dei sottosegretari. Non oso alzarmi in piedi per il timore e per l’emozione. De Cinque, più audace e coraggioso di me, si alza, va e scorre la lista e dice: “Giancarlo, sei Sottosegretario all’Interno”. Tutto bene. Emozionato, una grande soddisfazione anche se subito dopo mi assale la preoccupazione di non essere all’altezza del compito che il Ministro Gava mi ha affidato. La cena deve proseguire simpaticamente e la signora De Cinque vuole addirittura che andiamo a casa sua per festeggiare la mia nomina, avendo messo nel frigo bottiglie di champagne. Incontriamo lungo la strada i senatori Berlanda, Leonardi e un terzo senatore il cui nome ora non ricordo e festeggiammo simpaticamente ed in allegria fino quasi alle due di notte. Il Sottosegretario ha più appetito. L’onorevole Cristofori, nel complimentarsi con me, mi accenna anche ad un fatto accaduto nel Consiglio dei Ministri che mi ha inorgoglito. Quando venne letta la lista dei sottosegretari e Carli sentì il mio nome destinato al Ministero dell’Interno, fece presente che avrebbe visto volentieri me come suo collaboratore al Ministero dei Tesoro. Un’analoga osservazione la fece anche Vassalli, Ministro di Grazia e Giustizia, con il quale avevo collaborato nella precedente legislatura come segretario della Commissione Giustizia di cui Vassalli fu autorevole presidente. Tutte le paure, le tensioni, le emozioni della vigilia scomparivano di fronte a questo fatto. Taviani continua a dirmi con tenacia ed insistenza che il mio posto vale più di quello di Ministro, si intenda naturalmente per alcuni dicasteri di secondo livello. Il posto su cui si sono seduti Scalfaro e Gaspari, continua a ripetermi, ed è un osservatorio importantissimo per la vita politica nazionale. Sappi poi che collabori con il Sole (Gava) e il lavorare vicino, gomito a gomito, con Gava, ti farà assumere una posizione sempre di maggior rilievo all’interno del partito e nella vita politica nazionale, un privilegio riservato a pochi. Comunque, non devo dimenticare che, passata l’euforia e gli onori che mi sono riservati in questo periodo (anche ad Altare nella manifestazione sulla mostra del vetro, il sindaco comunista Olga Beltrame mi ha fatto un elogio nell’intervento pubblico notevole, presente il senatore comunista), ci saranno gli oneri che peseranno in modo considerevole. Difatti, sarà necessaria la mia presenza costante a Roma (il paese si governa da Roma, sostiene sempre Taviani) ; sarò costretto, quindi, a rimanere assente sovente dal collegio e nel collegio non ho tutti amici, anzi la gelosia, l’invidia (Taviani mi dice non farti vedere per un certo periodo di tempo perché hai creato troppa gelosia, troppa invidia attorno a te), chi vorrà prendere il mio posto etc., determineranno le condizioni per diminuire il mio consenso elettorale, non certo per accrescerlo. E’ necessario quindi che io mi organizzi in modo efficace qui nel collegio, oltre che a Roma dove ho una segreteria estremamente efficiente sotto la guida del Vice Prefetto Giustino Di Santo.
Roma, luglio 1989
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- Petrarca
PETRARCA
La mia nomina a Sottosegretario ha sollevato una eco di consensi e di felicitazioni. A centinaia per non dire a migliaia sono arrivati telegrammi ed auguri. Tra questi, ho apprezzato l’augurio che mi è pervenuto dal Sen. Onofrio Petrarca, comunista, un augurio molto partecipato e sentito che mi ha commosso. Le felicitazioni di Petrarca mi sono giunte doppiamente gradite non solo perché esse sono state fra le prime che mi venivano da un Senatore comunista ma soprattutto perché mi venivano da un Senatore che nella IX° Legislatura avevo attaccato molto pesantemente. Devo raccontare il fatto. Onofrio Petrarca era Sindaco di un Comune della Puglia. Nella veste di Sindaco era stata chiesta contro di Lui l’autorizzazione a procedere per il reato di interesse privato in atti d’ufficio. Petrarca era accusato di aver favorito la moglie di un suo Assessore e di non avere fatto pagare alla stessa, per violazioni edilizie, una somma superiore a 200.000.000. E’ uno dei primi casi che la Giunta per l’autorizzazione a procedere del Senato aveva esaminato nella IX° Legislatura sotto la Presidenza del sen. Gian Filippo Benedetti, comunista, uomo di grande equilibrio, anche se determinato nel fare valere le sue idealità comuniste e, quindi, nel caso del Petrarca, di cercare di evitare l’autorizzazione a procedere. E’ bene dire infatti che l’autorizzazione a procedere, in qualche misura, per le risonanze che ha nella stampa locale, costituisce sempre un elemento di notevole disturbo e di appannamento dell’immagine del parlamentare. Petrarca era stato sentito dalla giunta per le autorizzazioni a procedere e aveva dato delle risposte che non avevano per nulla convinto. Devo dire per obiettività che ero di diversa opinione di alcuni miei colleghi, alcuni dei quali mi confidarono che avremmo avuto ulteriori processi a carico dei nostri amici e che era opportuno usare un mezzo di comprensione e di larghezza per evitare ritorsioni da parte dei comunisti. Non ho mai condiviso né condivido questa impostazione. Un senatore era convinto che si trattasse di un fumus persecutionis perché l’autorizzazione era stata chiesta dopo alcuni anni dal fatto commesso dal Sindaco e a seguito dell’elezione del Sindaco a Senatore. Io sostengo, in aula, che al Petrarca venisse data l’autorizzazione a procedere ; svolgo una vera e propria requisitoria da Pubblico Ministero. Aveva risposto, in modo come sempre intelligente, il sen. Franco Martorelli del Partito Comunista. Il Petrarca poi, un poco farisaicamente, aveva sostenuto la volontà di essere rinviato a giudizio; farisaicamente perché la difesa predisposta in Suo favore dal sen. Martorelli era una chiara smentita della Sua formale farisaica adesione a che l’autorizzazione gli venisse concessa. Mi ha scritto una lettera che mi ha commosso, l’ho subito ringraziato, manifestandogli anche un certo mio imbarazzo per quel primo intervento che avevo fatto nella IX° Legislatura in aula contro di Lui. Mi ha risposto dimostrando molta sensibilità, comprensione ed intelligenza. Disse che mi aveva apprezzato perché aveva capito che il mio discorso contro di Lui era un discorso che tendeva ad affermare alcuni principi che nella fattispecie potevano tornargli di danno, ma che costituivano anche, soprattutto per l’opinione pubblica, punti di riferimento importanti. Oggi, probabilmente, non farei più la requisitoria che feci allora contro il sen. Petrarca, ma gli sono grato per avermi dato una dimostrazione di intelligenza e comprensione e, soprattutto, per aver capito le ragioni di fondo che avevano mosso la mia posizione rigorosa.
Roma, 1989
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- Canavese
CANAVESE
La mia nomina a Sottosegretario ha destato anche emozioni e sentimenti poetici in alcuni amici. Conosco da anni Paolo Canavese, un autodidatta amante di D’Annunzio. L’annuncio ufficiale della mia nomina a Sottosegretario è stato trasmesso dai giornali, dalle radio e dalle televisioni il 26 luglio 1989, il giorno di Sant’Anna. Paolo Canavese ha scritto una poesia per l’emozione che l’annuncio della mia nomina a Sottosegretario dell’Interno gli ha ispirato nel cuore; la riporto, perché credo meriti un accenno particolare: SANT’ANNA A DARI. Quando la campana di Sant’Anna a Dari batte nel cuore dell’estate a festa; quando dall’alto dei rami le cicale trillano come chitarre nell’azzurro; quando nel meriggio di sole ricama aromi la brughiera di timo, ruta e steccado, e la borgata antica, la costa, il cielo m’accarezzano il cuore, così nel giorno di Sant’Anna a Dari nel meriggio di sole millenovecentoottantanove.
- Paolo Canavese -
E’ un componimento poetico che non poteva non destare in me molta attenzione per l’espressione sentimentale dell’amico Paolo verso di me. Il giorno di Sant’Anna è un’esplosione per Paolo Canavese di colori, di estate, di cicale, di campane, di chitarre, di azzurro, di meriggio di sole, di brughiera, di borgata antica, di costa, di cuore e il giorno di Sant’Anna è il giorno della mia nomina a Sottosegretario dell’Interno. Grazie, caro Paolo.
Roma, 1989
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- Palermo
PALERMO
Il Capo della Polizia, Prefetto Parisi, uomo di grandi doti e di notevole capacità organizzativa, mi telefona la sera di sabato cinque agosto 1989 informandomi del delitto grave accaduto a Palermo. Un agente di Polizia, Antonio Agostini , è stato ucciso in un agguato che aveva le caratteristiche della barbarie mafiosa. Il Poliziotto era stato ucciso mentre si stava avviando a casa sua in quel di Carini, una frazione vicina a Palermo. Con lui era morta la moglie Ida che aveva sposato un mese prima e che sarebbe risultata poi già in stato interessante. Portava nel grembo un figlio che non sarebbe mai nato. La moglie Ida, ventenne, allorché sentì gli spari si buttò a far da scudo al marito nel vano tentativo di salvarlo: è morta sul colpo per un proiettole ricevuto alla schiena in prossimità del cuore. Il Prefetto Parisi mi dà il preallarme. Il Ministro Gava avrebbe deciso di andare a Palermo domenica a rendere omaggio alle salme e per una riunione in Prefettura. Avrebbe delegato me per i funerali a rappresentarlo. Obbedisco, anche perché sono esperienze interessanti che riesco a fare in un momento di ferie per il mio studio. Queste sono le mie vacanze. Vacanze segnate dal sangue di innocenti. La batteria del Ministero mi ricerca alla domenica per darmi conferma dell’aereo, non sapendo che io avevo già parlato in mattinata con il Prefetto Parisi e avevo combinato che sarei partito da Genova alle otto e quarantacinque con l’aereo della Presidenza del Consiglio per giungere direttamente a Palermo per le dieci e quindici, in tempo utile per partecipare ai funerali. Il Capo della Polizia ha disposto che i funerali si svolgano alle ore undici per consentire la mia partecipazione. La batteria centrale del Ministero mi ricerca tutta la domenica per chiedere se consentivo che il senatore Imposimato venisse con me. Ho dato subito il mio assenso perché è un piacere viaggiare con il sen. Ferdinando Imposimato, già Magistrato esperto di problemi mafiosi con il quale ho piacere di scambiare qualche opinione su tale fenomeno criminale. Lunedì mi alzo al mattino presto. Poco dopo le sei sono già in studio per dettare alcune istruzioni urgenti. Ritorno a casa, mi cambio, metto il vestito blu e la cravatta blu scura per avviarmi alla cerimonia funebre. Alle otto e quarantacinque sono all’aeroporto: è appena arrivato da Roma l’aereo della Presidenza del Consiglio con il sen. Imposimato. Partiamo da Genova in orario, attraverso un viaggio piacevole arriviamo alle 10,10 all’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Durante il viaggio ho modo di scambiare alcune opinioni con il sen. Imposimato, il quale manifesta una certa libertà nei confronti del partito comunista. Condivide la linea dura in tema di sequestri, a differenza dalla posizione assunta dal suo partito (il caso recente del sequestro Berardinelli ha dato ragione alla linea dura, ma è una linea che è stata premiata non senza qualche difficoltà e soprattutto non senza timore ed ansietà del Capo della Polizia e nostre, potendo comportare la morte dell’ostaggio). Non solo. Il sen. Imposimato mi manifesta molte altre sue perplessità sulle posizioni del partito comunista per dirmi chiaramente che egli nel partito è un uomo libero. E’ stato presentato candidato sia alla Camera sia al Senato: è uscito eletto alla Camera, quarto nella circoscrizione della Campania, e ha optato per il Senato; anzi, mi precisa, “mi hanno imposto di optare ed è stata una imposizione gradita, la cosiddetta <<vis gradita puellae>>”. Mentre cerco di studiare il sen. Imposimato, mi vado chiedendo se queste sue posizioni sono frutto di un convincimento profondo o piuttosto di una solidarietà nei confronti delle mie idee. Una persona preparata come Imposimato, che ha svolto una positiva attività come Magistrato, che ha avuto un fratello ucciso dalla criminalità organizzata, non può non essere un uomo aperto ai problemi della società civile in grande trasformazione e in crescita come la nostra. Ma non vorrei che questo atteggiamento suo di disponibilità (chiedo a me stesso) non sia il frutto di una certa disponibilità verso di me ; non dico di servilismo nei miei confronti ma di un temperamento caratteriale non sufficientemente forte da poter esprimere anche in presenza di persone dissenzienti la propria idea. Non lo so, è un quesito, in fondo, al quale non so dare risposta e al quale preferisco non dare risposta. All’aeroporto di Palermo ci sono ad attendere il Prefetto Iovine e il Vice Questore. Salgo sulla macchina del Prefetto perché così vuole il cerimoniale e voglio che vicino a me ci sia il sen. Imposimato. Io ho grande rispetto per il Parlamento e per i parlamentari ; anche a Bologna al sen. Cannata e all’on. Bellocchio, ho riservato onori che credo abbiano apprezzato e che non dimenticheranno facilmente. Il Prefetto Iovine è un uomo intelligente: uomo di potere che ha un passato vissuto anche in Questura come Questore e poi promosso Prefetto. Uomo di mondo, salottiero, pieno di verve, occhi intelligenti e vivaci. Nei salotti di Palermo - mi dice - si faceva il “toto Falcone” : si scommetteva su quando sarebbe morto Falcone se entro il 30 giugno o il 31 dicembre 1989. Poco salottiero, molto macabro questo discorso, che mi lascia perplesso anche se è indicativo di una certa mentalità. Ma perché il Prefetto accoglie solo queste affermazioni negative e non quelle con aspetti positivi della situazione palermitana? Lo stesso Prefetto mi riferisce che vi è molta rassegnazione, che nella gente vi è omertà di fronte ai delitti: che una madre non ha voluto riconoscere gli autori dell’omicidio del figlio per paura ; che vi è nella società palermitana e nei cittadini palermitani una grossa rassegnazione, non vi è quindi fiducia nello Stato, non vi è fiducia nelle istituzioni e la mafia di fronte a questa totale indifferenza non può non trionfare per le sue forze occulte, per la sua intimidazione che riesce ad esprimere e per esempi feroci e brutali. Anche la ferocia e la crudeltà costituiscono forme di intimidazione che hanno la loro incidenza nell’animo umano. Ma vi è di più. Il Prefetto parla anche di una sorta di rassegnazione indifferente e distaccata nella gente. Accenna a problemi sociali di grosse dimensioni. In certe zone di Palermo l’acqua viene distribuita ogni 15 giorni, con ripercussioni di una tale gravità sul piano psicologico che è facile immaginare. Se il palermitano tollera questa situazione, a maggior ragione non si vede come non possa tollerare aspetti criminogeni offerti dalla mafia e da altri; essi rappresentano, per il palermitano, in definitiva, l’unica forza valida in una Regione dove lo Stato è assente. Queste ed altre sono le constatazioni del Prefetto che mi lasciano un poco perplesso. Partecipo alla cerimonia funebre, quindi, con questa impressione pesante. Poi la manifestazione funebre trova la regia del Capo della Polizia Parisi. Si fa il corteo e mi dice Parisi che il corteo può rappresentare un pericolo (certo hanno messo in atto tutti i dispositivi di sicurezza necessari ed opportuni anche, mi dice, per la mia presenza, per solleticare il mio orgoglio) ma qualche rischio si corre ugualmente. Occorre, mi dice il Prefetto Parisi, dare questa dimostrazione di forza alla città: lo Stato non ha paura della mafia. La mafia può uccidere una - dieci persone ma ci saranno cento, mille, diecimila altre persone disposte a combattere in trincea e a vincere la battaglia contro la mafia. E’ un uomo determinato e deciso il Prefetto Parisi. Partecipiamo al corteo, ci rechiamo nella chiesa di competenza del commissariato in una zona ad altissimo rischio mafioso. Vi è gente non in numero strabocchevole, ma per le abitudini e i costumi di Palermo in un numero ragguardevole, mi dicono i giornalisti e molte persone. Ma, soprattutto, apprezzo la compostezza di questa cerimonia. Certo, vi è dolore da parte dei familiari, ma un dolore contenuto, un poco alla settentrionale. Il padre del poliziotto ucciso ha una grande fede e, soprattutto, una grande dignità. Egli è il papà fortunato di altre due figliole ma una frase dice al Ministro Gava: “sono dispiaciuto di non aver un altro figlio da offrire alla patria”. Una frase singolare e lapidaria, che testimonia, però, che qualcosa sta cambiando a Palermo e a livello parlamentare. Parisi mi dice che la messa verrà officiata da Padre Pintacuda: ho qualche perplessità e la manifesto apertamente al capo della Polizia. Pintacuda è l’espressione di una realtà politica - amministrativa che ha dato determinati frutti in Sicilia, ma mi devo presto ricredere. L’intervento di Pintacuda è di una grande dignità e di una sobrietà eccezionale. Dice che Palermo non è più Sagunto, che vi è una lotta per la liberazione dalla mafia, che i due giovani Antonino ed Ida, morti, sono entrati nella storia del nostro paese, che vi è la speranza, anzi la certezza, della liberazione dalla mafia. Siamo in trincea, siamo in guerra, dobbiamo combatterla, ma riusciremo a trionfare sulla mafia. Un grande nobile discorso: ricorda gli sposi, ricorda la creatura in grembo alla sposina ventenne, ricorda il loro matrimonio celebrato un mese fa in una cappella di Palermo, ricorda la loro gioia di sposi novelli. Usciamo dalla Chiesa per rendere l’estremo omaggio alle due salme e poi manifesto al Capo della Polizia il desiderio di salutare Padre Pintacuda. Era venuto a Savona ed aveva sviluppato con il suo intervento un dibattito estremamente vivace ed interessante, ma ero impegnato e non avevo potuto partecipare a quell’incontro. Lo saluto, mi compiaccio con lui per le sue affermazioni, gli confermo la volontà ferma dello Stato di combattere con ogni mezzo la criminalità organizzata. Esprimo la mia solidarietà anche a nome del Ministro. Poi di corsa all’aeroporto a prendere l’aereo per Roma. C’era anche il direttore della CriminalPol, dott. Rossi.
Savona, agosto 1989
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- Siderno
SIDERNO
Sono appena cinque giorni che ho preso possesso del mio nuovo delicato Ufficio di Sottosegretario e già il Ministro Gava mi manda a Siderno. Dov’è Siderno, chiedo. Non ti preoccupare, mi si risponde, Siderno è servita da due aeroporti, Lamezia Terme e Reggio Calabria; si scende a Lamezia Terme o Reggio Calabria e si procede poi per una strada abbastanza tortuosa per un’ora e mezza, la strada della Calabria. Obbedisco, mi dichiaro disposto a partecipare al Convegno organizzato dallo A.N.C.I. e al quale interverrà anche il mio amico Riccardo Triglia. E’ stata un’esperienza interessante ed utile. Intanto, la Prefettura di Savona ha mandato la macchina a prelevarmi dallo studio, per fortuna. L’autostrada, infatti, a Varazze, si presentava intasata e le macchine procedevano a passo d’uomo. L’autista ha inserito il dispositivo luminoso, ha chiesto ripetutamente strada ma il progresso era lento e la nostra andatura, data anche l’ora, non ci avrebbe consentito di arrivare in tempo. Una Pattuglia della Polizia stradale, con segnali luminosi di allarme e usando sovente il percorso riservato alla destra dell’autostrada, mi ha consentito di arrivare in tempo massimo all’aeroporto e prendere l’aereo per Roma. A Roma mi attendeva il Dr Di Santo, Capo della mia segreteria. In breve tempo siamo arrivati dove partono gli aerei della Presidenza del Consiglio. La breve sosta al buffet, gli spaghetti alla puttanesca serviti in fretta e poi la partenza sul Falcone 50 di pochi posti che in meno di cinquanta minuti ci ha portati in Calabria. Qui, da Reggio, con l’elicottero, fino a Siderno, dove al campo sportivo ci attendevano le autorità che ci hanno portato all’Hotel President per il convegno. Al ritorno, stesso percorso, non più però attraversando l’Aspromonte selvaggio ma passando lungo la costa reggina che è meravigliosa sia per il suo mare che per la sua sabbia. Decine e decine di chilometri di spiaggia e di mare favoloso con pochi bagnanti, scarsissimi stabilimenti balneari, quasi nessun ombrellone e sedie sdraio. Questa spiaggia e questo mare costituiscono per la Calabria una opportunità di grande rilancio solo che la sappiano sfruttare di fronte a tanta miseria che si avverte nei volti della gente e nelle condizioni di vita dell’ambiente ancora troppo selvaggio per un Paese ad alto sviluppo come il nostro. Al Convegno erano presenti numerosi comunisti che hanno fischiato sia l’accenno al Ministro Misasi, che, impedito, ha mandato un telegramma, sia al mio accenno al Ministro Gava. Sono stato duro nel replicare a questi attacchi, ho poi svolto il mio intervento portando dati significativi e questi non interessavano alla platea intervenuta, in parte distratta. Poiché ritenevano che le proposte già concretizzate, i provvedimenti e gli adempimenti reali fossero unilaterali e senza senso. La sera cena con Triglia al “Ristorante Costanza”, un ristorante vicino alla Chiesa di Sant’Andrea della Valle che non conoscevo in cui si apprezzano fritti e pesce fresco. Una giornata indimenticabile sotto molti aspetti. Ho capito per la prima volta cosa significa “potere”: la Polizia Stradale a tua disposizione, le leggi dello Stato a tua disposizione, aerei, elicotteri, macchine, una girandola di saluti, di riverenze senza perdere un minuto di tempo, quasi quasi mi è venuta voglia di partecipare al Comitato Provinciale a Savona. Avrei dovuto chiedere il distacco dell’aereo e sarei potuto arrivare in tempo, ma vi è un limite a tutto ed ho preferito concludere la serata con il capo della mia segreteria, con l’autista, che ho fatto sedere al tavolo con noi, con Triglia ed il Direttore Generale dell’A.N.C.I.. Una giornata indimenticabile.
Roma, agosto 1989
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- Parigi
PARIGI
Carissima Pia, prosegue la nostra visita intensa a Parigi : senza soste. Ma, a quattro giorni dal nostro arrivo, si può dire che di Parigi conosciamo quasi tutto, ad eccezione dei Musei (il Louvre; quello dell’impressionismo che deve essere interessantissimo - pensa a Toulousse Loutrec - Cezanne - Monet - etc. e quello dell’arte contemporanea); ci vorranno altri due giorni per vedere i musei e Fontainebleau. Parigi è indubbiamente una grandissima città: forse e senza forse, la più bella del mondo. E’ stata così concepita centocinquanta anni fa: gli architetti hanno saputo prevedere il futuro ed in esso proiettarsi. Strade immense (si circola meglio a Parigi che a Savona ... !); boschi e verde dappertutto; palazzi e boulevards armonici: un tutto bello, armonico e raffinato. Siamo stati naturalmente ai campi Elisi ed all’Arco del Trionfo. Ai Campi Elisi ti saresti divertita moltissimo: grandi vetrine; graziose boutiques: vita elegante di città (debbo dire, però, che non ho trovato le parigine eleganti: forse sono ancora in villeggiatura altrove. Io continuo a girare in maglietta e mi sento elegantissimo!). All’Arco di Trionfo - che celebra tutte le vittorie di Napoleone - mi sono sentito a casa: sull’Arco spicca il nome di “Millesimo”, accanto a tanti altri nomi noti (Loano - Montenotte - Dego - etc). Il Bois de Boulogne è una cosa immensa: boschi a non finire, laghi, cascate. Ti sembra di essere sulle montagne del Canada e invece ti trovi a Parigi, nel centro della città! Abbiamo fatto un giro in barca in un lago notevole: mi sembrava di essere al mare e stavo benissimo! Certo è che i parigini ti fanno pagare anche l’aria che respiri: la vita è molto più cara che da noi e tutte le occasioni sono buone per chiederti dei franchi. Versailles è una dimora degna di gran Re. Magnificenza, sontuosità, raffinatezza, etc., etc. Un parco con laghi e passeggiate ombrose; mobili antichissimi: una meravigliosa “galleria degli specchi”, di una eleganza così raffinata da essere unica nel suo genere. I re se la passavano bene. Il palazzo, già riposante e bellissimo, non bastava per le loro vacanze ed un architetto ha concepito una residenza per le vacanze nello stesso parco immenso: Le grand Trianon. Un piccolo palazzo di marmi bianco e rosa. Stupendo. Siamo stati a vedere lo spettacolo al Moulin Rouge: cena con spettacolo sino quasi alle due. Una sala molto bella (duemila persone, tutta gremita all’inverosimile). Abbiamo mangiato stretti - stretti ed Andrea sbuffava. Per la cronaca eravamo vicini a due anziani coniugi di Torino, sulla destra; sulla sinistra, due giapponesi! ! ! Gran spettacolo, della Parigi antica: senza spogliarello, anche se le ballerine di vestito avevano ben poco. Uno spettacolo ottimo, coloristico e di effetto. Abbiamo cenato a champagne, che è d’obbligo. Questa è la Parigi: città del vizio! Parigi è viziosa e saggia, come lo sono tutte le città ed i paesi del mondo. Direi che questa è la conclusione più significativa del mio viaggio e che, forse, ti farà più piacere. Ciao Pia carissima: Ti voglio tanto bene e Ti penso sempre. Affettuosità e tanti bacetti a Cristina e a Fabio.
Parigi, 22 agosto 1968
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- Bologna
BOLOGNA
Domani parto per Bologna, dove si svolgerà un convegno sulla riforma della procedura penale e le strutture giudiziarie. E’ un convegno molto importante ed io sono stato chiamato a fare il relatore su di un tema impegnativo: i contenuti della legge delega per la riforma della procedura penale e le attuali esigenze della nostra giustizia penale. E’ un tema che mi ha impegnato parecchio, essendo - come sempre - troppo scrupoloso e volendo andare a studiare e ad esaminare tutto. Non vi è dubbio che, per me, si è trattato di una grande soddisfazione, anche se tale sentimento - e non lo dico certo per modestia - era accompagnato dall’umiltà della mia posizione. Sono un modesto avvocato di provincia, molto ambizioso e voglioso di arrivare. Dotato di una intelligenza media, ma di una volontà di acciaio. Credo che pochi abbiano la mia volontà e possano fruire del mio impegno. Sono senza soste; non conosco fatiche ed ostacoli; sono disposto a qualsiasi sacrificio. Al convegno parteciperà anche Maria Pia. Ne sono lieto. Ho dovuto faticare, non poco, a convincerla a venire. Pia deve vincere una sua naturale pigrizia, che giustifica anche con la necessità dei figli. Verranno anche Boccia e la moglie, la simpatica donna Bice. E verrà Coco, con la moglie, che è madre da poco di un bambino. Questa notizia conforterà Maria Pia e le toglierà ogni velo ed ogni residua preoccupazione. Spero che la mia relazione trovi consenso e che il soggiorno bolognese sia gradevole. In questi giorni di ricerca, mi sono letto “Lo spirito delle leggi” di Montesquieu. Non vi è nulla di nuovo, sotto il sole. Concluderò la relazione, riportando un passo dell’”Esprit des Lois” : “Affermo e mi sembra di non aver scritto quest’opera che per dimostrarlo, che lo spirito del legislatore deve essere improntato alla moderazione; il bene politico, come il bene morale, si trova sempre tra i due estremi. Eccone la prova. Le formalità della giustizia sono necessarie alla libertà. Ma il loro numero potrebbe essere così grande da pregiudicare lo scopo stesso delle leggi che le hanno fissate: in questo modo le liti non avrebbero mai fine, la proprietà dei beni rimarrebbe incerta, si darebbero ad una delle parti i beni dell’altra, senza previo esame o si manderebbero in rovina entrambe a forza di esaminare. I cittadini perderebbero così la loro libertà e la loro sicurezza, gli accusatori non avrebbero più alcun mezzo per convincere, né gli accusati per difendersi”. (Libro XXIX - cap. 1 - “Della maniera di comporre le leggi”). Le parole di Montesquieu sono ammonitrici anche per noi.
Roma, 25 maggio 1978
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Mi sono accorto di non aver ancora parlato del convegno di Bologna. E’ giusto che io lo faccia. E’ stato un grande successo, superiore ad ogni previsione. La mia relazione è stata convincente, sia per il modo con cui ho posto i problemi sia per le conclusioni a cui sono giunto. Le ammonitrici parole di Montesquieu sono piaciute. Applausi fragorosi. Avevo iniziato a parlare da poco, allorché in sala è entrato Fanfani. Gli ho porto pubblicamente un saluto. Mi ha ascoltato con interesse, ma forse pensava al suo successivo intervento. Mi ha citato due volte nel discorso: il che è, certamente, segno di apprezzamento. Erano pure presenti Piccoli e Bisaglia, Speranza e molti altri. Soprattutto, erano presenti i Procuratori Generali di tutta Italia, molti Consiglieri del Consiglio Superiore della Magistratura, della Corte Costituzionale e della Cassazione. Sono stato anche incaricato di trarre le conclusioni, esse pure molto apprezzate. Pia era entusiasta e gli amici Boccia mi sono stati vicino. Coco, alla sera, a cena, mi ha detto “Ti sei fasciato di gloria!”.
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A Bologna siamo arrivati in macchina, in ritardo. Eravamo partiti da Savona alle undici e nonostante avessi forzato la velocità della mia macchina (mediamente sui 150 Km all’ora), siamo arrivati a convegno già iniziato. Tutto ciò ha accresciuto il mio senso di paura e di smarrimento. Sono stato chiamato al tavolo della presidenza, ma figuravo al posto dell’ambasciatore di Spagna! Per strada, durante il viaggio Savona - Bologna, le donne vollero fermarsi a mangiare a Reggio Emilia, una città gioiosa, che io ricordavo per un convegno giovanile svoltosi molti anni fa. La città non è cambiata: è sempre la stessa. Agli angoli delle strade, sono stati collocati numerosi cartelli gialli. Tu li leggi, pensando che indichino monumenti d’arte e di gloria. Non ne rimani deluso, anche se leggi indicazioni del tutto diverse, tipicamente emiliane: Ristorante “Il becco d’oro”; albergo ..., etc. Sono i segnali turistici dell’Emilia godereccia che più che guardare al passato, guarda al presente, con i gusti della sua buona tavola e di un vivere gioioso. Ma questo gusto del presente, questo rifiuto dell’avvenire, ci hanno trattenuto a tavola più del previsto. E partimmo per Bologna in ritardo. Il tratto di strada Reggio - Bologna fu per me un calvario. Strada lunga e piena di traffico. Arrivati a Bologna, parcheggiammo in una piazza. Il custode ci disse di lasciare a disposizione le chiavi della vettura. Chiudemmo le porte in modo definitivo e le chiavi della macchina restarono nel cruscotto. Avevamo sotto chiave tutto: borse, valigie, la mia relazione, tutto. Ma io dovevo essere presente al convegno. Dissi a Pia, telegraficamente: “Telefona a Baiardo, che venga a portare le chiavi di scorta ; si trovano a casa, nel comò della camera”, e mi precipitai al convegno, lasciando Pia e i Boccia, come tre mammalucchi, in mezzo alla piazza. Non so bene che cosa sia successo. Credo che Boccia - chiamato il soccorso ACI - sia riuscito a far aprire la macchina. Per me, è stato un miracolo. Mi avevano detto che le BMW - chiuse - non si aprono più se non con le chiavi di scorta.
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A Bologna siamo stati ricevuti bene al Carlton. Un albergo di lusso. A me, poi, venne riservata una camera con una ampia sala, dotata di televisione e di ogni ben di Dio. Il Direttore dell’albergo mi aveva fatto un omaggio di frutta fresca. Una confezione elegante. Un omaggio apprezzato. E’ stata una tre giorni soddisfacente. Intervista alla radio; intervista alla TV (come sono brutto!); incontri con uomini politici e con alti magistrati.
Roma, 4 luglio 1978.
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- Berlino
BERLINO
Il Presidente apre i lavori. Con un ritardo di quindici minuti, rispetto al calendario dei lavori. E’ un fatto che credo debba essere sottolineato, perché qui tutto marcia alla perfezione. Come un orologio svizzero. Senza errori e senza deficienze. Siamo arrivati a Berlino ieri sera verso le diciannove, come previsto. Il viaggio era stato avventuroso. Non certo quello da Roma a Berlino. Ma per il viaggio da Genova a Roma. Dovevo arrivare alle undici e quaranta. Un ritardo di oltre un’ora e un successivo guasto meccanico al motore. Eravamo già sulla pista di partenza e stavamo per decollare, allorché il pilota ha messo in atto un’azione frenante che ci ha fatto sobbalzare. Mi sono preoccupato per me e per il timore che non potessi più arrivare in tempo a Roma. Poi tutto si è risolto in modo sollecito e siamo ripartiti per Roma. Il viaggio da Roma a Monaco con volo Alitalia, in orario, mi ha piacevolmente sorpreso. Intanto un ottimo inizio: appena partiti, una coppa di champagne, come augurale saluto della compagnia. A Monaco, breve sosta all’aeroporto. Ho provato a telefonare in studio a Savona. Anche per il telefono, una piacevole sorpresa. Si introduce nell’apparecchio denaro metallico (cinque marchi tedeschi) e poi fai il numero, senza soluzioni di continuità. Ho parlato con lo studio come, talora, non riesco a parlare da Roma o da Genova. Sull’apparecchio potevi annotare ogni scatto, attraverso una costante ... diminuzione: 4,90 - 4,80 - 4,70 - 4,60 - 4,50 etc. etc. E’ bello telefonare in questo modo. All’aeroporto di Berlino ci attendeva Bernassola. E’ il funzionario del partito nella sezione esteri. Con noi viaggiava l’on. Micheli. Siamo alloggiati all’Hotel Hilton. Ed ora alcune considerazioni. I politici vivono troppo bene: il viaggio in aereo in prima classe; trattamenti eccezionali a tutti i livelli: tutto ciò a carico di enti, gruppi, etc. Si determina, con ciò, un distacco, sempre maggiore, tra opinione pubblica e propri rappresentanti. Che cosa voglio dire con ciò e che cosa voglio proporre? Non lo so, forse, neppure io: ma - è certo - così si esagera. Io so essere, forse eccessivamente, parsimonioso e mi dà veramente fastidio vedere sprecare il denaro degli altri in modo così indegno. Questo viaggio verrà a costare circa un milione, allo UEDC e al gruppo senatoriale. Mi sento quasi in colpa.
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Il Muro di Berlino. E’ impressionante questo muro della vergogna. Io non riesco a spiegarmi il motivo per cui gli orientali mantengano questa “frattura” così evidente, così antitetica rispetto alle libertà che vogliono proclamare. Mi ha fatto un grande effetto vedere questo muro, alto quattro metri ed esteso per 45 km. che taglia in due una magnifica città. In verità non di un muro solo si tratta, bensì di due muri, posti a distanza di circa 100 metri l’uno dall’altro, con le stesse identiche caratteristiche. In mezzo, sabbia con mine dentro, cavalli in cemento armato e figure di militari con le mitragliatrici puntate. Al di qua del muro, i tedeschi liberi consentono ai turisti di vedere dall’alto delle postazioni questa immensa e deturpante vergogna umana.
Berlino, 6 giugno 1978
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- Corea
COREA
Nell’anticamera del Primo Ministro, il Cerimoniere sta dando le ultimi istruzioni. Il Presidente Bartolomei segue con scarsa attenzione, forse ancora sorpreso di essere oggetto del conferimento della più alta onorificenza dello Stato Sud Coreano : “dovrà stare a distanza di un metro dal Primo Ministro: io leggerò la formula di conferimento di onorificenza e il Primo Ministro si avvicinerà a Lei ... ”. Riceverà, quindi, le congratulazioni dei presenti. La cerimonia si svolge puntualmente con un rigore e una osservanza alle disposizioni del Cerimoniere. Da tre giorni eravamo in Corea con una delegazione della Democrazia Cristiana, sottoposti ad un intenso ritmo di visite e di incontri. Tutto si svolgeva con una puntualità cronometrica, anche se dovevamo percorrere distanze considerevoli. Tutto era stato previsto con una precisione non comune. E’ la prima volta che mi capita di vivere una simile esperienza. Partire, viaggiare, arrivare senza una minima preoccupazione: c’è un nucleo di persone che pensa a te, ai tuoi bagagli, alla tua roba, alla tua sistemazione. In camera, biglietti di auguri con omaggi floreali, addirittura fiammiferi con sopra impresso il tuo nome. Un servizio da Re: vale a dire un servizio che un tempo veniva riservato ai Re e che oggi, in pieno evo moderno, dopo le contestazioni, le rivoluzioni e i rinnovamenti, viene riservato anche a me. Non certo per me, ma perché ho avuto l’avventura di essere al seguito di Bartolomei, Capo del gruppo senatoriale della Repubblica Italiana per il partito democratico cristiano. Tutto è stato predisposto e preparato con cura meticolosa: dalla visita del Presidente del Parlamento Coreano all’omaggio del Cimitero del Milite Ignoto, dalla colazione all’Ambasciata, alla visita delle fabbriche Hyundai che occupano 7.000 dipendenti, agli arrivi negli alberghi. Tutta gente che ti saluta, che ti riverisce, che è a tua disposizione. Quando oggi, per due ore e più, siamo scorazzati in mezzo all’intenso traffico scortati dalle macchine della Polizia e da due vigili urbani in motocicletta, la gente si spostava per lasciarci passare. I motociclisti, con le sirene, chiudevano il passaggio e la gente di spostava con calma senza imprecazione alcuna. A Roma sarebbe successo il finimondo. Qui no. Qui regna ancora la disciplina e un grande segno di rispetto. Non so se questa caratteristica sia propria dell’Estremo Oriente o sia il segno, ancora presente, di un rispetto che ormai l’occidente ha dimenticato. Certo è che ti fa piacere. Bastava vedere, stamattina, le donne che ti servivano il ging-seng alla Camera dei Deputati. Sono entrate con il capo chino e sempre con il capo chino hanno servito tutto; con discrezione, con rispetto e con devozione. Quelle donne sono disposte solo ad ubbidire.
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Seul è una grande città con oltre otto milioni di abitanti. Sono rimasto impressionato dal primo contatto con questa città asiatica, che ha poco di asiatico e molto di occidentale. Occidentali sono i suoi palazzi, occidentale il suo traffico, occidentale il modo di vestire della gente, occidentale il senso della ricchezza. Le nostre vetture diplomatiche portano la bandiera italiana sul cofano. E’ motivo per me di grande soddisfazione. Così come lo è stato vedere la mostra nel settore meccano-tessile allestita dall’ENI a Seul. La tecnologia italiana si espande anche in Corea e trova un mercato molto ben disposto. Affari d’oro per l’industria italiana. Almeno per il momento. Poi, domani, nasceranno i problemi ed altre industrie italiane che non riusciranno a collocare i loro prodotti per la concorrenza, certamente spietata, dei Coreani. Mi sono commosso, comunque. Così come mi sono commosso, oggi, al cimitero di Busan, dove è stato ricordato il sacrificio degli italiani che, durante la guerra di Corea, mandarono un gruppo volontario di medici ed infermiere per prestare assistenza e soccorsi ai feriti ed ai morti. Il gruppo della Croce Rossa. Le buone azioni sono sempre paganti.
Busan, 11 novembre 1978
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Stamattina mi sono commosso alla messa celebrata in una Chiesa, costruita recentemente. La costruzione è brutta e non ha nulla di artistico o di sofisticato. L’unica cosa che si salva è un crocifisso in legno, collocato nell’abside dell’altare. Ho chiesto al prete chi lo avesse realizzato. E’ un Cristo “nostro” che rivive il suo dramma nell’oriente. Ma se la chiesa sembra un grande capannone, l’anima che vi pulsa è grande. Era mattino presto: le 8,30 e centinaia di bambini seguivano la S. Messa, celebrata da un prete giovane, un italiano di Padova, che conosce bene il coreano e che è molto amato. Uno spettacolo di una chiesa giovane e viva, in una fase ancora pionieristica, con un grande avvenire davanti a sé. I bambini erano attenti e devoti e pregavano, in coro, accompagnando la funzione con canti religiosi. Il prete (si trattava, in effetti, di un frate di S. Antonio) ci ha detto che sono circa quattromila i fedeli della Parrocchia e che alla Messa dei grandi, alle 10, avrebbe avuto almeno cinquecento, seicento persone. Sono percentuali di praticanti molto alte e, certamente, superiori alle nostre. Mi sono ricordato della mia fanciullezza: le Messe seguite da molti giovani e ragazzi. Un ricordo lontano. C’era don Pregliasco che ci iniziava ai “misteri” del cattolicesimo. Oggi queste manifestazioni di fede, da noi in Italia, si avvertono soltanto in occasioni grandi: a Natale, a Pasqua, durante le Comunioni e le Cresime. Ho lasciato una offerta per la chiesa ed ho pregato il Prete di celebrare una Messa per i miei morti. I preti di quella chiesa fanno anche un servizio religioso per il lebbrosario. Sono oltre ottantamila i lebbrosi conosciuti esistenti nella Corea. Poi i nostri accompagnatori ci hanno portato a visitare alcune industrie coreane: la fabbrica delle automobili; i cantieri; lo stabilimento siderurgico. Due grandi realizzazioni dei privati e una dello Stato che si sono messi all’avanguardia nel mondo e che creeranno presto dei grandi problemi agli altri paesi. Mi sono pienamente convinto che esista un “pericolo” giallo. Se la Cina, il Giappone e la Corea decidessero di stabilire tra di loro accordi stabili e duraturi (il recente trattato cino-giapponese è un primo passo in questa direzione, anche se è avversato dai coreani) conquisterebbero il mondo e potrebbero anche creare problemi e notevoli fastidi alla stessa America. L’Europa verrebbe travolta. Il senso del sacrificio, la laboriosità, l’impegno e la forza di questi gialli sono meravigliosi. I nostri cantieri in Italia chiudono e qui sviluppano la loro attività; la siderurgia è in crisi e qui stanno espandendo la loro produzione che nel 1981 toccherà gli otto milioni e mezzo di tonnellate; l’industria automobilistica è in fase di grande sviluppo: produrrà quest’anno oltre settantacinquemila vetture (duecentocinquanta vetture al dì). C’è da pensare che interverranno certamente nuovi elementi a determinare alcuni squilibri e a rendere meno vorticoso tale progresso. Non vi è dubbio. Certo è che se il popolo coreano continua su questa strada, assisteremo presto ad un grande miracolo economico del paese. E’ un popolo in crescita ed in sviluppo che farà ancora parlare di sé. Il mondo si accorse della Corea nel 1950 per la guerra di Corea; oggi risente parlare della Corea per le sue industrie. Nella fabbrica delle automobili ho già avvertito i primi sintomi di una “certa” arroganza dei lavoratori. Essi non salutavano ossequiosi, come dalle altre parti ed in tutte le altre industrie. Non chinavano la testa; non si scostavano al nostro passaggio; non ti guardavano con curiosità ed interesse; non si sentivano per nulla onorati della nostra presenza. Erano indifferenti e tale indifferenza ostentavano, anzi direi che fossero orgogliosi di ostentarla e manifestarla (con soddisfazione). L’atteggiamento tipico, anzi due atteggiamenti tipici: ti sorpassavano con le mani in tasca e interferivano passando in mezzo a noi ed ai dirigenti. Questi ultimi non protestavano e non manifestavano meraviglia: era per loro, o, almeno, sembrava, un fatto normale, a cui non dovevano reagire e che accettavano con naturalezza. Il metalmeccanico incomincia a diventare, anche in Corea, l’avanguardia del movimento operaio. Forse tutto ciò non è male specie in un paese come la Corea, dove gli operai non godono certamente i privilegi che usufruiscono da noi. Ho tentato, ma invano, e ne spiegherò il perché, di conoscere il trattamento che viene riservato agli operai, i salari che percepiscono, chi ne stabilisce l’entità, se cioè attraverso una contrattazione tra le organizzazioni sindacali ed i datori di lavori, eventualmente con l’intervento del governo. Le risposte sono state tutte diverse e fra di loro molto contraddittorie. In una fabbrica mi hanno parlato di contrattazione sindacale, anche se ad essa non veniva riservata una grande considerazione. Avevo pensato che le organizzazioni sindacali fossero espressione degli interessi dei datori di lavoro e del governo e che, quindi, esistessero solo formalmente. Ma in un altro stabilimento, grande di oltre diecimila dipendenti, mi è stato detto chiaramente che le organizzazioni sindacali non esistono e che i salari (abbastanza bassi) vengono fissati, su proposta del datore di lavoro, dal governo che tiene conto degli interessi economici generali. E’ proibito, fra l’altro, lo sciopero. In un altro stabilimento, ancora, mi è stato detto che l’operaio usufruisce di maggiori mensilità e che quando lavora alla domenica prende lo straordinario. Pare però che le feste - in un mese - siano una e non più di due e che le ferie siano limitate a quattro giorni all’anno! E’ vero che, ovunque, i datori di lavoro sottolineano il fatto che le industrie si sono preoccupate di dotare rilevanti superfici per case (per lo più per impiegati, ma ora anche per operai): per campi da giochi e per assistenza in genere. Ma è anche vero che ci hanno fatto vedere case destinate a veri e propri dormitori per operai ed operaie, che - abitando lontano dai posti di lavoro, non possono tornare a casa alla sera. Ed allora, di fatto, avviene che costoro vivono unicamente per lavorare, la fabbrica diventa il luogo di tutto, forse anche dei loro incontri amorosi. Nella fabbrica costoro lavorano, vivono e muoiono. La Corea si trova, quindi, ad un bivio estremamente importante: o prosegue decisamente, con una coraggiosa inversione di tendenza, a modificare i rapporti con gli operai o l’indifferenza dei metalmeccanici si estenderà a tutti gli ambienti e, ben presto, l’indifferenza si trasformerà in contestazione durissima e violenta. Il che sarebbe un grande peccato, poiché il paese è cresciuto molto e si è notevolmente sviluppato, ponendosi all’attenzione del mondo anche per il suo sviluppo demografico (migliaia di bambini per le strade a sottolineare la estrema “giovinezza” di questo popolo). Infatti la Corea del Sud è forse il solo paese che si è sviluppato, notevolmente, senza il comunismo e senza la libertà. Noi siamo abituati a vedere il progresso nella libertà e la realizzazione della giustizia sociale in un sistema di libertà individuale assoluta. Oppure siamo abituati a vedere il progresso affermarsi, sia pure lentamente, nei paesi dell’est e dell’estremo oriente come la Cina, in un regime di assoluta mancanza di libertà. La giustizia sociale, senza la libertà, è un modello che noi rifiutiamo, anche se dobbiamo dire che la Corea del Sud inverte una linea di tendenza abbastanza diffusa e cioè afferma (forse insieme al Cile) il principio che è possibile il progresso dei popoli, il coglierne certe esigenze, pur fondamentali, di giustizia sociale, senza la garanzia della libertà. Senza materie prime. Una cosa mi ha, in certo qual modo, interessato: il notevole culto verso i morti e le tradizioni della storia. I cimiteri sono diversi dai nostri: non vi predomina il senso della morte, come da noi. Sembrano più luoghi di riposo, adagiati in distese notevoli di verde, attraversati da strade. Tenuti con grande cura. E non è che la superficie territoriale sia molta in Corea: ha un territorio grande appena un terzo dell’Italia, con una popolazione che si aggira sui quaranta milioni ed una densità di popolazione per chilometro quadrato intensissima (la Corea del Sud è il terzo paese del mondo per il rapporto superficie e popolazione). Eppure si dà largo spazio ai cimiteri, ai quali si può accedere attraverso ampie strade, anche al loro interno; le strade, nei cimiteri, sono addirittura molto più curate delle strade urbane. Vivo è il culto delle tradizioni. Di recente hanno scoperto in una tomba di un re, vissuto nel regno famoso di Villa (circa mille ottocento anni fa) la corona, la spada, vasi e uova di gallina, oltre a molti monili. Hanno costruito un sacrario per accedere al cuore della tomba del re, lasciata intatta, ed hanno messo in vetrina tutto ciò che è stato rintracciato. Ben poca cosa in definitiva, ma disposta bene, esaltata e meta di continui pellegrinaggi. Il Governo ha interesse a sviluppare il culto delle tradizioni. Le tombe: alte, specie di colline, ad imitazione forse delle tombe dei faraoni. Ma non ho ancora parlato dell’odore dei gialli. La pelle gialla era un elemento già conosciuto e noto: l’odore dei gialli, no. Mi sono portato in questa visita un libro di Pasolini. E’ scritto bene e rende molto bene l’estrema miseria di quel popolo. Ma Pasolini non tratta dell’odore dei gialli. L’ho avvertito: un odore intenso, allorchè sono entrato nell’aereo Korean Air Lines a Parigi. Era una bella giornata di sole e l’aria profumava dei colori e degli odori autunnali. Nell’aereo vi era un odore sgradevole, difficile da descrivere. L’odore di una umanità, forse abituata a vivere da troppo tempo in miseria, con abiti stracciati. Oggi, anche se ha tessuti belli e si profuma alla francese, non perde il suo caratteristico odore. Per questo, anche, ho guardato con più interesse il mar giallo, per scoprire se anche il mare avesse qualche cosa che lo differenziasse dai nostri mari. Devo essere sincero, non ho notato sostanziali differenze. Una grossa difficoltà del viaggio è purtroppo nella mancata buona conoscenza della lingua inglese. Biascichiamo a mala pena alcuni vocaboli, ma non riusciamo a parlare inglese: nessuno dei quattro della delegazione. I coreani, invece, conoscono tutti l’inglese. Anche questa è la prova che siamo di fronte ad un popolo evoluto. Quando da noi si faceva la propaganda contro le potenze plutocratiche anglosassoni e ci si chiudeva in un sordido nazionalismo, le lingue degli altri paesi erano non solo ignorate, ma si faceva di tutto perché non venissero conosciute. Oggi non conoscere bene una lingua e non conoscere almeno l’inglese, ti pone in una posizione di obiettiva difficoltà. L’ho già avvertito in molte altre occasioni, ma mai come adesso. Ieri sera me la sono cavata con il francese, avendo davanti a me un commensale, deputato al parlamento coreano, di straordinarie capacità e simpatia. Ho parlato francese come se “rien en fusse” (*)! Ed è andata bene, anche perché c’erano le fanciulle graziose e disponibili a servire. Eravamo seduti per terra, con le gambe incrociate in un ristorante alla moda e molto caratteristico di Seul.
Budan, 12 novembre 1978
(*) simpaticamente, Papà unisce il “rien” francese con il dialetto della Sua Val Bormida, componendo un “come se niente fosse”
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- Stoccolma
STOCCOLMA
Carissima Pia, desidero proseguire con Te e con i bambini le mie impressioni di viaggio. Stoccolma è una bella città: mi ha colpito il suo silenzio, il suo ordine, la sua pulizia. Sono le caratteristiche che differenziano nettamente Stoccolma dalle nostre città. Accanto a ciò, il verde immenso (parchi - giardini e alberi, ovunque), il mare ed il lago. Per questo è detta anche la “Venezia del Nord”. Ieri, con la guida, abbastanza preparata, abbiamo fatto un giro, visitando il centro commerciale, il palazzo reale, la nave Vasa affondata nel 1628 (appena dopo il suo varo) e recuperata nel 1961 dopo secoli di ricerche (essa offre una testimonianza interessante della vita, dei costumi e delle abitudini del ‘600), e il municipio (costruito nel 1911-1932 ma con stili diversi, scopiazzato da tutti i paesi, compresa l’Italia). E’ un popolo che vive bene, che non ha problemi economici, che non ha fatto un’ora di sciopero negli ultimi tre anni. Ma - chissà perché - mi sembra un popolo rassegnato, che manchi di inventiva e di genialità. Sarà forse una mia prevenzione, che deriva dal fatto di ritenere che, solo nel e col sacrificio, si possono ottenere grandi risultati e che l’uomo ricerchi il meglio di se stesso, solo se non ha vinto definitivamente e completamente i problemi della sua esistenza. Ma lasciamo adesso i discorsi filosofici ... . Vi sono moltissime vetrine, illuminate con sfarzo e piene di cose belle. Debbo dirTi che apprezzo anche le vetrine, adesso: un tempo non le degnavo di uno sguardo. Magico influsso Tuo! Stoccolma, quindi, è una bella città, suggestiva, piena di strade e vie interessanti: una città a misura dell’uomo, come si dice adesso. La gente non ha grossi problemi, essendo assistita bene dalla nascita alla morte. Ma l’Italia è un’altra cosa! E’ una prima conclusione piacevole a cui sono pervenuto ed alla quale cerco di far pervenire tutti i componenti della missione (compreso il comunista!). E’ una constatazione - nella sostanza - vera e che mi riempie di gioia: se in Italia non facessimo i cretini, potremmo raggiungere obiettivi ambiziosi e superiori agli altri paesi. Vi ricordo sempre con simpatia e Vi porto sempre nel mio cuore. Di volta in volta, a seconda delle cose che vedo, mi sento vicino a Te, o a Cristina, o a Fabio, o a Francesco oppure a Chiara (anche lei - sissignori: ad esempio, nei grandi magazzini, a vedere tanti pupazzi di cani!). Un affettuoso abbraccio. aff.mo Giancarlo Stoccolma, 23 ottobre 1973
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- Dal Testamento
DAL TESTAMENTO
Oggi è il dodici giugno 1993. Mi trovo qui, nel giardino, sulla pietra da mulino. Attorno a me, fiori, erbe, edere, profumi meravigliosi. Sono passate da poco le cinque della sera ed il sole illumina ancora quest’angolo bello e riposante della mia casa. Maria Pia prende il sole, in costume da bagno: ritrosa com’è, non voleva mettersi in costume, perché temeva di essere vista dal nostro giardiniere, l’anziano e affezionato Siri. Ed io mi preoccupo un poco di chiarire i miei rapporti con i miei figli, mia moglie, le nipotine nate e da nascere. Già ... perché la prossima settimana dovrò essere sottoposto a visita medica per la mia “signora” prostata. Non è escluso, anzi è molto probabile, che io debba venire operato di prostata. L’intervento chirurgico mi fa paura e costituisce sempre un rischio. Questa notte, durante un’ora di dormiveglia, ho pensato di scrivere qualcosa sulle mie volontà, per “ascoltare” di più me stesso e per mettere nero su bianco. E’ la prima volta che vengo attraversato da un simile pensiero: ma è giusto che sia così. Ho maturato ormai 63 anni e, diversamente da come ho fatto tutti i sabati, non sono andato nello studio di Millesimo. E mi riposo un poco ... stasera, le lucciole ... A Pia, dolce e fedele compagna della mia vita per quasi 35 anni, devo tutto: la mia serenità, i miei successi professionali e politici, la mia tranquilla esistenza (cioè “tumultuosa” esistenza, temperata dalla sua presenza serena e dal suo carattere dolce e signorile - sincera - sino all’offesa, buona e fedele). Ai miei figli Cristina, Fabio, Francesco e Chiara, nei quali mi sono compiaciuto, apprezzando in ognuno di essi una caratteristica, una proprietà, una dote, uno stile, ... ... I miei figli proseguiranno assieme, in collaborazione, l’attività professionale e lo studio Ruffino si affermerà sempre più per la sua serietà, per la sua preparazione e il suo impegno. Io vi seguirò dal cielo e non vi lascerò mai soli ... Ringrazio Dio , che mi ha concesso una vita lunga (ma come è passata in fretta!), piena di tante soddisfazioni sia professionali che politiche che familiari. Non mi sono mai pentito di quello che ho fatto e che ho cercato di realizzare, con umiltà, con determinazione e con spirito di servizio. Se dovessi ricominciare, rifarei tutto ciò che ho fatto. Sin da bambino avevo l’ambizione di arrivare al Parlamento e al Governo per operare a favore degli altri, per cercare di fare un po’ di bene: per ridurre le distanze fra chi ha e chi non ha. Ho avuto delusioni ed amarezze perché troppo sovente sono stato schiacciato da ingranaggi inesorabili e senza pietà. Ma sono lieto di avere tentato la grande avventura che deve ispirare la vita di ogni uomo: non chiudersi solo in se stessi, ma guardare oltre. Lascio questa testimonianza in eredità ai miei figli e ai nipoti. Ad essi dico anche che se - di tanto in tanto - pur nella dinamicità di una vita che lascia poco spazio alle riflessioni, si vorranno ricordare del loro papà e nonno, ché non mi faranno dispiacere ed io sorriderò loro, soddisfatto.
Savona, 12 giugno 1993
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